23: dove si fa un sogno e si parla di Jihād

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Jozefien era così bella da togliere il fiato.

Era vestita di raggi di sole e granati, splendente come un tizzone ardente e ogni cosa di lei riluceva: la pelle, le vesti, i capelli. Perfino i suoi occhi: erano ambra e miele, non azzurri, appena socchiusi, come se fosse stanca, pronta a crollare dal sonno. Ma Jozefien non era sdraiata su un letto e neppure seduta: stava ritta, a testa alta, rigida come una splendida statua. Non era neanche sola: attorno a lei si affaccendavano tre donne velate di rosso e ocra, con mani dalle dita lunghe e tatuate che non facevano altro che muoversi nell'aria, sfiorando le sue braccia e il suo viso. Era da loro tre che proveniva la nenia che Kim riusciva a udire, seppur non distintamente, in quell'ambiente troppo caldo in cui le pareva di galleggiare.

Quando aveva aperto gli occhi, Jo era a pochi passi da lei.

Aveva tentato di spalancare la bocca e urlare, di muovere le gambe e correre da lei, ma a nulla erano valsi i suoi sforzi e la sua disperazione: era bloccata dov'era, cristallizzata nel tempo. L'unica cosa che le era concessa era guardare, perciò lo aveva e lo stava facendo, osservava sgomenta quella specie di rito magico, impotente e orripilata.

"Sarà pronta per Badr" disse una voce alle sue spalle. Una voce maschile, gentile, ottimista. Kim aveva già sentito quella voce: non poteva voltarsi, ma era certa di sapere a chi appartenesse. Ne ebbe la conferma quando un giovane dai capelli scuri la attraversò, come se fosse stata un ologramma. Si avvicinò sorridente a Jozefien, allungò una mano, le sfiorò il volto.

Uno brivido e uno scintillio aureo disegnarono arabeschi sulla sua guancia.

L'assistente sospirò, felice.

"Sarà la Sposa più bella di sempre".

"No!".

Kim urlò quella singola sillaba con tutto il fiato che aveva in corpo. Questa volta il suono uscì dalle sue labbra e l'immagine si deformò, si ruppe in un milione di pezzi, come uno stagno turbato dalla caduta di un sassolino. Lei tese le braccia nel tentativo di afferrare quelle schegge in cui ancora si scorgeva il viso di Jo, ma non appena le toccava, esse divenivano impalpabili come fumo, come sabbia.

"No, Jo! Jo!" urlò ancora, nel vuoto che ormai l'attorniava, grigio e vano e morto, come il mondo senza luce, come la sua vita senza Jozefien.

Il tempo parve rallentare fino a fermarsi, mentre l'indice sinistro di Kim sfiorava un frammento della mano di lei, l'ultimo rimasto.

Poi, uno scossone improvviso la strappò dal suo incubo.

"Kim! Alḥamdulillāh, sei sveglia".

Kim si mise seduta così rapidamente che per qualche secondo, nonostante gli occhi aperti e la luce accesa sul comodino, l'unica cosa che riuscì a vedere furono ombre davanti ai suoi occhi spalancati. Le mancava il fiato e solo dopo un istante si accorse che stava emettendo uno strano suono, un sibilo pietoso e acuto. Quando la mano gentile di Amina le sfiorò il viso, Kim chiuse gli occhi e si mise a piangere.

"Le stanno facendo qualcosa" singhiozzò, disperata.

"Chi?" domandò confusa Amina.

Kim fece per rispondere, ma poi scosse la testa e premette le mani sul viso, artigliandosi la fronte con le unghie. Non avrebbe mai fatto in tempo, sarebbe stato tutto inutile: Al-Azar non avrebbe aspettato la luna piena per toccare Jozefien: i suoi servi la stavano già manipolando.

Il dolore per quella terribile consapevolezza non le permetteva di respirare: ogni cosa era così terribile e più grande di lei da immobilizzarla, in un ciclo vizioso di panico e impotenza.

La sposa del fuocoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora