IL DONO DI ASGARD

CAPITOLO 8

Tony

Rimasi esterrefatto "tu mi hai letto nel pensiero?"

La vidi annuire un po' timorosa "credo di si. Per esempio, ora sei lievemente irritato da questa mia dote, ma anche meravigliato e curioso" mi mise la mano sul braccio. La vidi inclinare la testa e chiudere gli occhi riprendendo a parlare "sento davvero molto dolore, sepolto nella tua mente" una lacrima scese nel suo pallido viso.

"ora stai pensando a ieri sera, a quanto ti sia commosso al discorso di Paul. Al sorriso che avevi fatto nell'ombra nascosto al mio nominare capitan ghiacciolo. Ti sei meravigliato quando avevo proposto di scusarmi benché non avessi fatto niente, perché sei sempre stato uno che non si scusa mai, figurarsi quando non è colpa tua. Stai pensando che prima quando ho perso il controllo..."

"basta cosi! Smettila." La scossi levandomi la mano dal braccio "non entrarmi più nella mente" mi alzai e me ne andai. Non avrebbe dovuto leggermi nel pensiero. Ero felice per lei, per aver scoperto di avere tutte quelle capacità che l'avrebbero resa un Avenger, ma proprio perché sarebbe entrata a far parte di noi, non avrebbe dovuto usarli contro di me, contro chiunque di noi. Si trattava di fiducia.

Capivo però la sua adrenalina, la voglia di usare un qualcosa che aveva tanto bramato.

Era vero, tutto quello che aveva detto, e per fortuna la fermai prima che potesse dire altro. Mi ero preoccupato davvero quando aveva perso il controllo. Non certo per come avrebbero pensato gli altri, però mi ero preoccupato.

Tornai nuovamente nel mio laboratorio. Non era tanto il leggermi nel pensiero che mi avesse infastidito, forse era il fatto che qualcuno fosse riuscito a leggermi dentro, a leggere come mi sentivo, dopo tanto tempo, dopo Pepper.

Non era il solito modo, quello che tutti intendono, nel leggersi dentro, però sentivo che qualcosa era cambiato tra me ed Helen. Una connessione che sentivo ancora sotto la mia pelle. Una sensazione davvero strana. Come se la sua mano non si fosse mai spostata dal mio braccio.

Ancora vedevo i suoi occhi bianchi vagare nei miei in cerca di informazioni, senza le tipiche iridi nere.

Ieri notte, prima di cadere collassato sul letto, pensavo proprio a questo particolare e all'associazione che aveva con la parola umana. All'interno dell'anomalia, Jarvis aveva detto di rivelare lo spazio. Avevo pensato che magari quell'Helen non fosse la stessa che era entrata, o fosse stata in qualche modo alterata, questo poco ma sicuro. Solo che ancora non capivo perché, e nemmeno come, fosse possibile una cosa del genere.

Pensai che quegli occhi erano davvero molto particolari, occhi che vorresti restare a guardare per ore senza mai staccarti. E forse per questo era un qualcosa di pericoloso. Magneticamente ti attiravano a se, proprio come aveva fatto l'anomalia con lei. Cosa più curiosa è come questa cosa combaciasse perfettamente con la capacità di leggere nel pensiero.

Presi una lavagna trasparente, tolsi alcuni fogli da essa, cancellai alcune scritte e scrissi questa piccola nota sulla superficie. Salvai e il tutto finì tra i documenti del mio palmare. Se mi fossi accorto di altre coincidenze avrei annotato il tutto. Restai ancora un po' a guardare la lavagna, pensando se ci fosse qualcosa che ancora mi sfuggisse, quando mi accorsi di un venticello leggero ma freddissimo.

Una sensazione di paura mi pervase, nata dal nulla, senza un apparente motivo di pericolo. Pensavo fosse un attacco di panico ma il mio respiro era regolare. Dei brividi mi partirono dal braccio diffondendosi in tutto il corpo. Proprio lì dove Helen aveva iniziato quella connessione mentale.

Guardai fuori dalla finestra. Il cielo era limpido, di un azzurro intensissimo, con una leggera pioggia mattutina.

Appoggiai involontariamente la mano alla finestra e rimasi sbalordito da constatare che la pioggia mi stesse bagnando la mano.