IL DONO DI ASGARD

EPILOGO

Tutto quello era successo circa un mese mezzo fa. La mia intera vita era cambiata per sempre. Non solo avevo dei poteri con cui non facevo letteralmente niente, ma avevo conosciuto il mio Avengers preferito, avevo scoperto tutti i suoi lati peggiori, ci avevo instaurato una qualche forma di relazione malsana e ora non potevo tirarmi indietro.

All'inizio ero tornata dai miei genitori, spiegando cosa fosse successo e raccomandando ovviamente di non dire niente a nessuno, per la loro incolumità e perché non volevo essere rintracciata, anche se avrei scommesso la testa che Fiury sapesse già dove fossi ma che volesse lasciarmi stare, facendomi decidere da me se diventare una minaccia da eliminare, se tornare nella squadra o se semplicemente vivere come un umana normale, percentuale Asgardiana a parte. Prendevo delle lenti colorate non graduate per nascondere i miei occhi fuori di casa, avevo iniziato a studiare al College della mia città e mi ero trovata un lavoretto come cameriera.

Le persone poi avevano iniziato a parlare, riconoscendomi dalla televisione che ancora parlava di Stark e degli ultimi mesi. Perciò io ero inclusa in quei servizi, dato che erano trapelate foto di lui che mi guardava mentre brindavamo alla mia entrata nella squadra. In quel mese, tutti i canali, di tutte le nazioni, continuavano a emettere servizi su quell'uomo cosi pragmatico. La Stark Tower, come da lui stipulato nel suo testamento, scritto proprio due giorni prima della sua scomparsa, era diventata meta di collegiali che volevano dedicarsi alla scienza e a tutte le materie che la includevano, congelando il conto in attesa di qualcuno degno di essere speso, o di qualche erede illegittimo che fosse spuntato dalla bara, per modo di dire. Ovviamente in men che non si dica, un orda di finti mini Stark aveva bussato alla porta pretendendo diritto a quell'ammasso di denaro. Solo che i civili non sapevano che a controllare quelle personcine era la spia delle spie a cui non serviva nemmeno un test di paternità per sapere che non erano i figli di Tony che bussavano.

Cosi mentre sempre più gente iniziava a blaterare cose e inventarsene altre, non molto lontane dalla verità, decisi che era ora di cambiare nuovamente aria. Cecilia aveva trovato lavoro in un paesino piccolo a due ore di viaggio in auto, e mi chiese di andare con lei. Mi sarei trovata un lavoro li e avremmo affittato una casa con un affitto che diviso in due sarebbe stato più abbordabile. Avevamo preso baracca e burattini ed eravamo partite. Era stato cosi eccitante poter andare a vivere da sole, solo noi due, senza nessuno in mezzo. Usavo i miei poteri quando faceva troppo caldo e volevamo un po' di arietta, e quando viceversa, faceva troppo freddo spostavo le nuvole mandandole un po' più lontano. Cecilia poi era davvero maldestra quando puliva i piatti e ogni tanto dovevo stare attenta a non farli cadere per terra. L'unica regola che mi limitava, giustamente, era non poter leggere la sua mente, mai, nemmeno quando percepivo preoccupazione o paura. Lei diceva che fosse per una convivenza più da umani normali, anche se non sapevo davvero cosa significasse, ma sapevo che era solo per i segreti che giustamente una persona possiede. Avevo imparato qualcosa dalla vicinanza con Stark.

Mi era diventato difficile nell'ultimo mese controllare la forza della mia mente, anche per colpa della nausea che mi attanagliava ogni tanto. Era iniziata due settimane prima, e si fermava ogni tanto per poi riprendere mentre mangiavo o bevevo qualcosa.

Tutti questi pensieri si mescolavano ai ricordi e agli occhi nocciola.

"allora Helen? Devo abbattere la porta? Non credo ce la lascino passare come la finestra del salotto"

Due giorni prima, in preda alla nausea e ai giramenti di testa avevo fracassato la vetrata della sala con una folata di vento nel tentativo di prendere la poltroncina per evitare di cadere.

Mi alzai dal WC e aprii la porta, bianca in volto.

"che faccia, sembra tu abbia visto un fantasma"