CAPITOLO 11

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Tony

Dopo quelle poche parole Helen era entrata in coma. Non aveva detto più nessuna parola, non aveva più mosso un muscolo, non mi aveva chiamato più nel sonno.

Facevo turni spropositati per tenerla sott'occhio, per vegliare il suo riposo che ora sembrava cosi tranquillo. Ogni tanto entrava qualche dottore per accertarsi che fosse tutto apposto, rivolgendomi solo un falsissimo sorriso di conforto, abituati troppo a vedermi spavaldo e spaventati da quel me cosi distante da me. Il resto della squadra faceva visita a Helen tutti i giorni chiedendomi come stessi. Rispondevo sempre uguale e dopo un po' smisero anche di fare domande, appoggiandomi solo una mano sulla spalla e restando in silenzio aspettando insieme a me. Paul persino sembrava distante, non mi rivolgeva più nessuna parola. Restava solo sulla porta a fissarla. All'inizio pensai che fosse solo perché stesse metabolizzando il tutto anche lui, che avesse deciso di rinchiudersi a pensare, a capire, cosa stesse succedendo alla sua migliore amica. Ma più i giorni passavano e più vedevo nei suoi occhi una strana aura nel suo sguardo che non decifrai minimamente.

Il corpo di Helen era ritornato normale, tranne per gli occhi che ora, oltre ad essere bianchi, avevano delle pagliuzze. Come se le avessero buttato in faccia schegge di metallo.

Stavo pensando proprio a questo mentre, seduto su una sedia riposta in un angolo vidi entrare Paul. Riabbassai subito lo sguardo sul mio palmare, prestando molta più attenzione ai dati che avevo raccolto in quei giorni, aspettandomi che non mi rivolgesse nemmeno una parola, come aveva fatto nei giorni precedenti.

"Tony è richiesta la tua presenza nella sala conferenze, riunione Avengers di massima segretezza. Non sono ammesse altre persone, per cui tranquillo, veglierò io su Helen e se dovesse risvegliarsi ti farò chiamare"

Alzai un sopracciglio deluso un po' dalle parole fredde di quel mio amico. Mi alzai, tirando il palmare sulla sedia dove prima era appoggiato il mio fondoschiena, e mi diressi per la mia strada pensando a che problema enorme ci dovesse essere per convocare un assemblea d'emergenza per tutti noi.

Helen

Sapevo di non essere vigile. Sentivo l'immobilità dello spazio intorno a me, la freddezza del mio corpo che non si muoveva, la rigidità degli arti. Non riuscivo a sentire il mondo esterno, i discorsi, i tocchi, se mai ce ne fossero stati, le presenze. Stavo sognando, ma con la mente, come quando nel bel mezzo di un sogno capisci che sei nel letto e cerchi di modificare quello che stai immaginando aspettando il risveglio.

Ero nuovamente dentro quella dimensione o qualunque cosa fosse, di un po' di giorni prima. Tutto era identico solo che non vi era la luce e l'ambiente era illuminato da un globo che fluttuava davanti a me, insieme a me, proprio di fronte al mio cuore.

Riuscivo a vedere tutto, il nero che si stagliava davanti a me. Il mio corpo era nuovamente rosa. Lo vedevo come se fossi una terza persona, presente solo mentalmente in quella "stanza". Non riuscivo ad interagire con esso ma ad ogni comando lui eseguiva. Come se mi stessi guardando allo specchio.

Ero tranquilla, serena, in mezzo a tutto quel nulla, un nulla infinito, che avrebbe potuto spaventare chiunque non sapendo chi o cosa ci fosse all'interno di esso.

Eppure, malgrado la mia paura del buio, era come se quel nulla mi appartenesse, come se fosse dentro di me, come se fossi io.

All'improvviso però, proprio quando mi stavo dicendo che ero in pace con me stessa, che ero tranquilla, tutto intorno a me si accese di una luce rossa, e un suono assordante mi fischiò nelle orecchie, tanto che dalla prospettiva da specchio che avevo davanti alla mia mente, mi ritrovai catapultata nuovamente nel mio corpo, che cadde appena anche il globo prese un colore rossastro, facendomi sbattere il sedere a terra, schizzando l'acqua tutta in faccia.

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