IL DONO DI ASGARD

CAPITOLO 12

Sapevo che il diventare un Avengers non sarebbe stato facile, che il diventare responsabile per la protezione del mondo non sarebbe stato facile, che sarei dovuta andare contro i miei ideali a volte, contro le mie stesse idee, pur di collaborare in squadra per lavorare, che poi lavoro non è, al meglio. Ero consapevole del fatto che mi sarei dovuta scontrare con qualcuno di alto per far valere la morale giusta.

Ma qui si trattava di qualcuno a cui dovevo un favore, un favore vitale, nel vero senso della parola.

Mi aveva salvato la vita e non potevo certamente lasciarlo li senza alzare un dito. Non era cosi che i miei genitori mi avevano insegnato e non è cosi che la mia etica aveva intenzione di fare. Poi era un membro della squadra, un membro di un gruppo che si faceva il culo per salvare tutti, senza chiedere quasi nulla in cambio, e mi sembrava doveroso quantomeno provare a ricambiare il favore anche da quella parte del popolo che come me, era solo una fetta normalissima, senza poteri senza nulla con cui combattere.

Steve avrebbe dovuto capire che oltre al ritornare il favore, dentro di me ribolliva anche il voler utilizzare finalmente questi poteri in una missione. Anche se le gambe non mi funzionavano, le sentivo ancora assenti, avevo il volo, e proprio perché ero costretta a svolazzare continuamente avrei saputo quanto potevo resistere utilizzando tutti i poteri in contemporanea in uno scontro aperto.

Sentii un chiaro bip dall'auricolare e subito la voce di Paul si fece largo nei miei timpani, facendomi un po' sussultare per la sua impetuosità.

"sto rivelando il guanto di Tony in mezzo ad una radura ad ovest, ci vediamo li" e chiuse la conversazione e il dispositivo con un altro bip. Prima che interrompesse sentii il chiaro rumore dei motori del jet. Sperai ci fosse anche il resto della squadra. Però non dovette essere cosi altrimenti non avrebbe spento gli auricolari, e gli altri di sicuro avrebbero detto qualcosa per riprendermi da quello che avevo combinato a Steve.

Non sapevo dove stessi andando, stavo solo usando l'istinto, cosi continuai a volare per altre due ore, finché arrivai ad una radura circolare, circondata da un bosco fittissimo dove il sottobosco non si vedeva. Da lontano, anche da lassù, si sentiva il rumore imperterrito di un fiume in piena aggressivo, nascosto dalle foglie di tutte quelle vite immobili. Fui felice di vedere tutto quel verde. Era da un paio di settimane, almeno quelle in cui ero cosciente, che non andavo in mezzo alla natura. E finalmente ora, anche se il mio istinto sentiva un pericolo incombente, potevo godermi un po' di aria fresca e pulita, in contrasto a tutto quel caos di New York.

Vidi la mano dell'armatura di Tony e decisi di andare a controllare lì intorno. Atterrai lievemente e subito sentii che le mie gambe non erano ancora stabili. Le sentivo, ora, ma era come se fossero atrofizzate dopo ore interminabili a gambe incrociate. Tentennai rischiando di cadere, ma mi misi in equilibrio con le braccia riuscendo a rimanere in piedi, anche se in modo molto precario.

Mi sbilanciai raccogliendo il guanto che si frantumò in pochi secondi sotto le mie mani, sfaldandosi.

Rimasi a fissare quelle briciole che volarono via con il venticello estivo sotto i miei occhi confusi e preoccupati. Il mio sesto senso ora diceva che c'era qualcosa che non andava, che dovevo andarmene via immediatamente da li.

E prima che potessi spiccare il volo una voce che conoscevo molto bene mi parlò

"è stato davvero facile abbindolarti per portarti qui" dalla penombra del sottobosco uscirono due braccia metalliche che conoscevo molto bene, ora scintillanti al sole.

Fuori del nascondiglio che regalavano gli alberi continuò a parlare:

"il tuo attaccamento idiota a quell'umano di Tony Stark mi ha reso tutto più semplice, mi ha alleggerito il lavoro, permettendomi di portarti qui da sola. Sai non è stata una buona idea ferire Steve e lasciarlo li da solo con me."