18 - Simon

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Il campanello suonò, ed io andai ad aprire.

- Ciao - fece Simon.

- Ciao. Entra.

Lo feci passare e richiusi subito la porta, seguendolo poi fino al tavolo della cucina. Ormai tutti i nostri "meeting" si svolgevano lì: mia madre non voleva che portassi ragazzi in camera, anche se Simon era il primo e di lui si fidava, e poi quel luogo era divenuto il fulcro di tutto, a casa mia.
Lì mio padre ci aveva salutati per l'ultima volta.
Lì ci avevano dato la notizia della sua morte.
Lì i federali avevano appoggiato la cassaforte di papà, e Simon ed io avevamo trovato l'articolo che ci aveva poi condotti alla giornalista.

Ora sarebbe stato il luogo di inizio del nostro sabotaggio.

Ci sedemmo, e lui mi guardò pieno di aspettativa. - Sono tutt'orecchie.

- È arrivato il momento di agire - iniziai, decisa. - Non possiamo più aspettare.

- C'è qualcosa che non so? - domandò lui confuso.

Io gli sorrisi e annuii. - Ho trovato la persona di cui parlava la giornalista, quella che ci avrebbe fornito le informazioni mancanti.

Lui si sporse in avanti. - Chi è?

Io lo imitai. - Mia nonna. Alice, la madre di mia madre.

Era chiaramente sorpreso, ma all'inizio lo ero stata anche io. L'insospettabile... questo era uno dei punti di forza di mio padre, il motivo per cui le sue ricerche era proseguite per molti mesi senza che gli accadesse niente.

- Mi ha rivelato il motivo per cui il governo ha ucciso tutte quelle persone - proseguii, vedendolo pendere dalle mie labbra. Aspettava questa risposta da troppo tempo ormai, il motivo per cui piangeva il padre invece di abbracciarlo e dirgli che gli voleva bene.

- E qual è?

Lo osservai un momento prima di rispondere. - Eliminare gli elementi deboli e malati che affossano la società, migliorarla.

Lo vidi contrarre la mascella e stringere il pugno. I suoi occhi scintillarono.
Potevo percepire la sua indignazione, la sua rabbia. Lo inondava e si spingeva fino a me.

- Mio padre è morto per questo? - sibilò infuriato.

Io annuii. Tentare di addolcire la notizia non sarebbe servito, e lui non lo avrebbe voluto: stavamo lottando insieme per fermare quell'abominio, era controproducente fare finta che la situazione fosse meno grave di quanto era in realtà.

Era buona la sua rabbia, ci avrebbe fruttato: lo avrebbe riempito di adrenalina e voglia di vendetta, portandolo così a darsi da fare. Gemella di quella che mi portavo dentro anche io, ci avrebbe resi tenaci e poi saggi, quando fosse scemata nella determinazione.

Quando avremmo lottato non più solo per vendicare i nostri padri, ma per rendere giustizia a tutte le vittime, allora saremmo cresciuti. Per il momento ci serviva la spinta iniziale, e doveva essere forte. Molto forte.

- Tutto il lavoro di mio padre è chiuso nella sua cassaforte. Ora ce l'hanno i federali, ma non possono aprirla. Solo io posso.

Lui mi guardò soppesando il valore della mia affermazione, e la definì inestimabile. - La cassaforte di cui mi hai già parlato?

- Sì.

- Allora dobbiamo riprenderla - esclamò lui, passando finalmente all'aspetto pratico per cui lo aveva chiamato prima, usando il telefono di mia nonna.

- Mia nonna ed io abbiamo un piano - lo aggiornai. - Lei chiederà la cassaforte ai federali e se la farà dare con una scusa, promettendo loro di riportarla indietro "se ne hanno bisogno".

- Sarà pericoloso, certa gente non ama essere presa in giro - ribattè lui, ma io gli sorrisi. - Tu non la conosci, non sai di cosa è capace.

Non era molto convinto ma non obbiettò. Prese atto della prima parte del piano e passò alla successiva. - E dopo?

- Voglio contattare la giornalista e analizzare quei documenti assieme a lei - dissi, sorridendo poi in modo furbo. - E poi voglio denunciare i colpevoli.

- Daremo inizio ad una guerra - commentò lui con un sorriso.

- È quello che spero.

Feci una pausa. - Deve venire tutto a galla, tutto. La gente deve sapere e indignarsi, rivoltarsi contro i loro assassini, gli stessi uomini che avevano giurato di proteggerli. Tutto questo deve finire.

Lui annuì. - Sono d'accordo e sono con te. Tutti devono vederli per quelli che sono, e noi dobbiamo vendicare i nostri padri.

Si appoggiò allo schienale della sedia, tamburellando con le dita della mano sinistra contro il tavolo. - Quando iniziamo?

- Domani. Mia nonna mi manda un messaggio quando ha fatto, ci incontriamo a casa sua.

- Sai che potrebbero seguirla? - replicò lui.

- Sì lo sappiamo, ma noi passeremo dal retro dell'edificio.

Lo scrutai. - Ti va bene se usiamo la tua macchina? Io vado a riprendere quella di mia madre fra poco, ma i federali la riconoscerebbero.

- Certo, non c'è problema - rispose lui.

- E riusciresti a metterti in contatto con la giornalista? Io non so come fare.

Lui annuì, e io lasciai andare un sospiro di sollievo. Sapere di poter contare su Simon mi rincuorava: lui c'era, e sarebbe rimasto al mio fianco.
Era uno scoglio solido a cui potevo aggrapparmi nel mare agitato in cui stavo per tuffarmi di testa.

- C'è per caso un po' d'acqua? - mi domandò lui ad un tratto. Io annuii con vigore e mi alzai, dirigendomi verso il lavello.

- Ti va bene dal rubinetto? - gli chiesi, prendendo un bicchiere dalla credenza sopra di me. Non ottenendo risposta aprii l'acqua e aspettai che si raffreddasse, spegnendo la testa e lasciando che fosse l'acqua l'unica cosa a scorrere.

Mi incantai ad osservarla e non lo sentii avvicinarsi.

All'improvviso sentii qualcosa conficcarsi alla base del collo, seguito da un bruciore pungente. Mollai il bicchiere nel lavello e contrassi di riflesso i muscoli con un urlo.

Prima che potessi reagire il bruciore diminuì, e percepii ciò che mi sembrava essere un ago ritrarsi dalla mia pelle.

Mi voltai e incrociai lo sguardo cupo di Simon. Teneva in mano una siringa vuota, e mi fissava come aspettando qualcosa.

- Simon... cosa...?

La testa si fece pesante, mi si annebbiò la vista e la forza di gravità parve tirarmi con forza verso il pavimento.

Non opposi resistenza e mi lasciai andare, ma non caddi a terra. Due forti braccia mi sostennero mentre sprofondavo nell'oblio, e una voce che ormai conoscevo bene pronunciò parole che non avrei mai pensato mi potesse rivolgere: - Mi dispiace...

Poi fu il buio.

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