23 - Trappola per topi

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Dicono che la vita ti scorra davanti agli occhi quando stai per morire, che finalmente tutto diventi di una chiarezza lampante, anche se ormai è troppo tardi. Gli errori, i rimpianti, ciò che ti ha reso davvero felice e ciò che invece era solo una bugia, uno specchietto per le allodole con cui evitavi di affrontare la realtà, la dura e scomoda realtà... ogni cosa. Come fotogrammi dannatamente nitidi che ti tormentano fino alla fine, finché non arriva il buio.

Dicono tante cose, ma io so solo che quando quell'uomo sparò il colpo che mi avrebbe uccisa, ero dolorosamente consapevole della pistola che stringevo stretta nella mano destra e della paura che quell'incubo sarebbe finito lì, in quel momento, sul pavimento di quel magazzino. In una pozza di sangue che si allargava sempre di più.

Invece il proiettile mi mancò. Feci appena in tempo a sentirne il rumore che mi ritrovai distesa a terra nel corridoio dell'ospedale, la pistola mi sfuggì di mano e così pure parte dei medicinali. Sentii uno sparo, e poi un altro, e vidi un uomo in piedi davanti a me, il respiro affannoso, che puntava la propria arma verso un punto all'interno del magazzino, senza però premere il grilletto una seconda volta.

- Papà... - Fu tutto quello che riuscii a dire, mentre una miriade di pensieri sfrecciavano nella mia testa come proiettili impazziti. E, considerando la situazione in cui mi trovavo, il paragone mi sembrò azzeccato.

- Alzati. Andiamo.

Serrò la porta del magazzino, intrappolando all'interno l'uomo con un proiettile in corpo - ne ero piuttosto certa - e raccolse la mia pistola, mentre io pensavo ai medicinali. Era scuro in volto, sbrigativo, ma i suoi movimenti tradivano anche rabbia, e io sapevo di esserne la causa; non aveva tutti i torti, in fondo, dal momento che gli aveva rubato la pistola ed ero scappata per inoltrarmi da sola in un luogo che pullulava di agenti armati e fasci di raggi γ che spuntavano dalle pareti. Ma io non mi sentivo in colpa per le mie azioni, poiché stare ferma a guardare Simon dissanguarsi davanti ai miei occhi senza muovere un dito mi avrebbe tormentata per sempre, molto di più che una sfuriata di mio padre e una ferita al braccio.

- Ti ha colpita - constatò papà, esaminando la mia spalla con occhi clinico. - Sbrighiamoci, voglio darci un'occhiata il prima possibile.

Detto questo, si incamminò lungo il corridoio imboccando il tragitto contrario, che ci avrebbe riportati al punto in cui li avevo lasciati. Io lo seguii ma non mi scusai, e lui non mi sollecitò. In quel silenzio, invece, mi domandavo se avesse solo indovinato dove mi trovassi o se fosse andato a colpo sicuro e di chi fosse la pistola che...

- Hai lasciato Simon lì da solo?! - esclamai quando realizzai che l'arma non poteva che essere quella di Simon, e questo significava che lo aveva abbandonato ferito senza un modo per difendersi se un altro di quei bastardi lo avesse attaccato.

Mi scoccò un'occhiata che mi fece pentire immediatamente della domanda. - Se non l'avessi fatto, ora tu saresti morta, signorina.

Non osai replicare, perché aveva ragione. Il suo tono gelido mi colpì come una staffilata al cuore.

- Però no - aggiunse mentre ci lasciavamo le scale alle spalle - Non è solo.

Quest'affermazione mi rincuorò e confuse allo stesso tempo, mandandomi brividi di natura sconosciuta lungo tutta la schiena. Chi diavolo poteva esserci con lui? Non di certo gli uomini che volevano ucciderci, ipotesi assurda e inverosimile: avevo già appurato da che parte stava mio padre, e di certo non era la loro.

Mentre aprivo la porta che conduceva fuori dalla tromba delle scale, capii che avrei dovuto aspettare solo pochi metri per scoprirlo. O forse meno.

Perché, quando da dietro l'angolo spuntò una delle guardie al servizio del vicepresidente, il mio primo istinto fu di urlare e tastare il fianco dove avrebbe dovuto esserci la pistola che mio padre mi aveva sottratto, l'unica cosa con cui avrei potuto difendermi.

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