7 - Pezzi mancanti

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- Poi mio padre ha cambiato stazione e lui si è svegliato di colpo. Si è fiondato sulla radio e ha rimesso la canzone di prima, ma era già finita - spiegai prendendo un altro sorso del mio frullato con latte e gelato alla menta.

Simon mi ascoltava attento, gli occhi già accesi di ilarità per il risvolto comico che immaginava avrebbe avuto la vicenda. Era seduto di fronte a me al tavolino in legno chiaro del bar, davanti a sé un'enorme coppa spaghetti. Era un pomeriggio molto caldo, il tempo perfetto per un gelato.

Ci eravamo incontrati solo mezz'ora prima e da allora avevamo continuato a parlare di noi e delle nostre vite, delle nostre famiglie: mentre Simon era figlio unico, io gli stavo raccontando qualche divertente aneddoto su Jimmy.

- Così è rimasto arrabbiato tutto il giorno e, quando siamo arrivati in riva al lago, ci ha spinto dentro mio padre ancora vestito.

- Ma tuo padre non aveva in tasca quel suo gioco elettronico...? - domandò lui, cogliendo un secondo più tardi dove stava l'assurdo in tutta quella vicenda.

Rise. - Non ci posso credere! E quindi si è rotto?

Annuii energicamente, sorridendo al ricordo. - Eccome! Lui contava di passarci del tempo nel pomeriggio, e invece non ha avuto più scuse per non aiutare mamma a cucinare. Dovevi vedere la sua faccia!

- Beh posso immaginarla! - esclamò, ficcandosi poi in bocca una gigantesca cucchiaiata di gelato alla vaniglia, sciroppo di fragola e scaglie di cocco.

Lo fissai stralunata. - Com'è che non ti si è ancora gelato il cervello?

- Perché dovrebbe? - mi domandò confuso.

- Stai facendo dei bocconi enormi!

Lui guardò il gelato e poi me. - Probabilmente si è già congelato e ora non soffre più.

- Bisogna fargli il funerale poverino! - risi.

- Ma poi lo sapranno tutti, e allora non entrerò mai al college! - ribatté lui, stando al gioco.

- Hai ragione, meglio tenerlo segreto.

Stavo passando un pomeriggio fantastico, e avrei voluto fermare il tempo e rimanere lì con lui per sempre. Ma i miei segreti premevano per uscire, e volevo liberarmene il prima possibile, così avrei condiviso il peso che mi opprimeva con qualcuno di cui mi fidavo.

- Ehi Simon.

Lui alzò lo sguardo e mutò espressione, così come era mutata la mia. - Che succede?

Mi presi il tempo di un respiro e soppesai le parole. Dovevo, volevo chiedergli una cosa prima di iniziare ad aprirmi con lui; se avessi esitato troppo non ci sarei riuscita, così spensi i pensieri e mi affidai interamente alle parole. - Posso fidarmi di te?

Lui parve preso in contropiede da quella domanda, ma non esitò. Mi guardò negli occhi e annuì. - Puoi fidarti di me, Lydia.

Cercando di ignorare le farfalle che avevano preso a svolazzare nel mio stomaco quando aveva pronunciato il mio nome in quel modo, mi preparai a raccontargli la verità.

- Io... io vedo delle cose. Cose che non dovrei vedere.

- Che tipo di cose? - mi chiese, concentrato su ciò che dicevo.

Distolsi lo sguardo e lo fissai sul mio frullato, bevendone ancora un po'. - Ieri in ospedale, quando ci siamo scontrati - e a quel ricordo sorrisi - ero appena uscita da una stanza per le radiografie. Non ci sarei dovuta entrare, ma mio padre mi aveva chiesto di farlo.

- Tuo padre? - Alzai di nuovo lo sguardo e annuii. Lui aveva le sopracciglia aggrottate, in attesa che continuassi.

- Ok, e cosa hai visto lì dentro?

- C'era una ragazza che stava facendo una lastra alla schiena, ma dal macchinario uscivano degli strani raggi azzurri e... beh...

Mi bloccai, non sapendo bene come continuare. Come spiegare in maniera chiara quello che era successo dopo?

Lo vidi rimuginare sulle mie parole, poi prese la parola. - In teoria non si dovrebbero vedere i raggi X emessi da quei macchinari. Tu invece mi stai dicendo che ci riesci?

Annuii. Aveva colto il problema, e già sentivo che il peso che mi opprimeva stava gradualmente diminuendo: più lui capiva, più lo condivideva con me.

- Non è questo il mistero più grande - proseguii, attirando la sua attenzione. - Il fatto è che quelli non erano raggi X.

A quel punto spalancò gli occhi, e la ruga tra le sue sopracciglia si accentuò. - Come... come fai a saperlo?

- Ho fatto delle ricerche, una volta a casa - spiegai - e ho scoperto che nuovi studi affermano che, se fossimo in grado di vedere tutto lo spettro elettromagnetico, ad essere azzurri sarebbero i raggi γ.

- I raggi γ? Ma sono altamente dannosi per l'uomo, molto più dei raggi X! - esclamò lui, in preda allo sconcerto. Io aspettai che quell'emozione si tramutasse in consapevolezza, come era successo prima con la storia di Jimmy, e non dovetti attendere molto.

- Allora perché usano i raggi γ per le radiografie? - mi domandò, cominciando a rendersi conto di ciò che preoccupava anche me. - Lydia.

- Non lo so spiegare - ammisi, mescolando il frullato con la cannuccia. Qui era dove le mie conoscenze finivano, e iniziavano dubbi e domande.

- Mio padre però lo sapeva, altrimenti non avrebbe fatto in modo che io lo vedessi.

Lui annuì. - Forse ne ha lasciato traccia tra la sua documentazione. Puoi controllare?

Scossi la testa. - No, i federali si sono portati via tutto. Hanno ripulito il suo ufficio all'ospedale senza dirci nulla; lo abbiamo scoperto ieri, quando mia madre mi ha chiesto di accompagnarla a prendere le cose di papà.

- E tu sei sicura che questo non c'entri nulla con quello che mi hai appena rivelato?

Lo osservai confusa. - In che senso?

Lui si sporse verso di me, e agganciò il suo sguardo al mio. - Sei sicura che i federali abbiano portato via tutta la roba di tuo padre solo per indagare sulla sua morte?

Aprii la bocca per rispondere, ma non ne uscirono parole. Improvvisamente capii a cosa alludeva, e deglutii nervosa. E se Simon avesse avuto ragione? Cosa implicava tutto ciò?

La risposta arrivò da sola. Implicava che mi stavo cacciando in qualcosa molto più grande di me, qualcosa di pericoloso in cui mio padre era coinvolto. Ora che era morto mi aveva passato il testimone; toccava a me fare qualcosa, anche se non sapevo bene cosa.

Mi voltai verso l'interno del locale, la mia mente che macchinava folli congetture e teorie cospirative. Alla tv il vicepresidente, ora in carica al posto del presidente, stava tenendo una conferenza stampa per rassicurare i cittadini che tutto si sarebbe sistemato e che, nel frattempo, la linea di governo non sarebbe cambiata. Con il presidente ancora scomparso, erano in molti a temere per le sorti della nazione.

- Che cosa posso fare ora? - gli domandai tornando a guardarlo. Mi sembrava di avere più dubbi di prima, di non vedere il quadro completo. C'era qualcosa che ancora mi sfuggiva, dei pezzi mancanti all'enorme puzzle che mi si presentava di fronte.

- Non ne ho davvero idea - mi rispose. - Se sono coinvolti anche i federali deve essere una cosa grossa, un passo falso e rischiamo di finire tutti nei casini.

- Rischiamo?

Lui mi guardò come se la risposta fosse ovvia. - Tuo padre ha tentato di salvare la vita del mio, e a te ora serve aiuto. Non puoi affrontare tutto questo da sola.

Gli sorrisi. - Grazie.

- Dobbiamo solo capire come muoverci.

- Non saprei neanche da che parte girarmi - sospirai, sentendomi come un minuscolo pesce in mezzo all'oceano. - Abbiamo troppe poche informazioni, e moltissime domande: perché usano i raggi γ al posto dei raggi X? Lo ha deciso qualcuno o è solo un problema delle macchine?

- Se fosse solo un problema di malfunzionamento, tuo padre lo avrebbe fatto presente ai suoi superiori - mi fece notare lui. - È evidente che non lo riteneva tale.

Rabbrividii. - Allora c'è qualcuno che sta avvelenando le persone.

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