CAPITOLO 14

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Erano passate due settimane dal risveglio di Newt.
Due settimane intense in cui quando non ci allenavamo a combattere, studiavamo il piano nei minimi dettagli, in modo da non sbagliare niente.
Eravamo pronti, ma la paura e l'ansia ardevano dentro di noi come fuoco vivo perché ormai tutti sapevamo che era arrivato il momento di agire.

"Domani non potremmo permetterci il minimo errore" disse per la millesima volta Gally.

"Sei troppo ansioso" lo sminuí Brenda, ridacchiando.

"Scusa se non entro tutti i giorni in una base di massima sicurezza in cui qualsiasi cosa potrebbe andare storta e potremmo morire" rispose assomigliando ad una ragazza con il ciclo mestruale durante una crisi di nervi.

"Come fai ad essere così calma Elena?" Chiese Thomas intento a pulire la sua arma per quella che doveva essere la terza volta nel giro di venti minuti.

"Punti di vista" sbuffai, mentre avvolgevo le mie mani con delle bende, il ragazzo mi guardò confuso.

"È semplice Thomas, io non ho paura perché ho fiducia" ribadii il concetto "Ho fiducia in tutti voi, e poi che potrebbero mai farmi di peggio?" Conclusi sorridendo amaramente, mentre i ricordi della mia vecchia vita alla Wicked tornavano a galla.

"Vi svelo un segreto" tornai a parlare, cercando di sollevare l'animo del gruppo "Io prendo tutto ciò che è importante per me" mi avvicinai al gruppo "tutto ciò a cui tengo e lo metto ... Nel mio pugno,è per questo che combatto" affermai mostrando il mio pugno.

Thomas a quel punto fece una cosa inaspettata, mise la sua mano sopra il mio pugno e a ruota lo seguirono anche gli altri.
Non avevo mai avuto una vera e propria famiglia, ma quello che sapevo per certo era che, nonostante le mille divergenze, i litigi e le differenze, loro, i miei amici, erano la cosa che più si avvicinava ad una famiglia.

"Ce la faremo" disse sorridendo Newt.

"Hermana, sei svitata ma mi piaci, sei una tosta, ricordati di non mettermi mai contro di te" rise Jorge scatenando una risata di gruppo.

"Elena! Elena!" La voce stridula di Evangeline mi richiamava tra i corridoi della base, carino da parte sua preoccuparsi per me solo ora, dopo non avermi degnato di un solo sguardo per un'intera settimana.

"Cosa vuoi Eva? Devi riposarti per domani" dissi con disinteresse, senza neanche guardarla negli occhi.

"A proposito di domani..." Iniziò a parlare lei, subito la interruppi "Se sei venuta a dirmi che ti tiri indietro fai presto".

"No assolutamente Elena, ho ricordato una cosa" continuò "Una cosa importante" concluse.

In quel momento attirò la mia attenzione "Ti ascolto".

"Prima di essere spedita nel labirinto, mio padre mi mostrò un posto, una stanza delle scope"

"Fantastico, scope volanti?" Dissi ironica, scoppiando a ridere.

"Per favore ascoltami Ele, in quello sgabuzzino c'è un pass verticale, ci potrebbe portare lontano da tutto questo, per sempre" disse con gli occhi illuminati di speranza, calcando l'attenzione sull'ultima parola.

Sempre.
Una cosa era certa, sempre e mai erano due parole che avevo eliminato dal mio vocabolario ormai da tempo.

"Sarà sicuramente protetto con un codice" spensi quel barlume di speranza con un soffio, e la ragazza si incupí all'istante, poi si illuminò di nuovo.
Quella ragazza era decisamente l'opposto di Newt.

"Il mio tatuaggio!" Disse mostrandomi una serie di numeri tatuati sulla sua caviglia.

Mi avvicinai alla ragazza, guardandola confusa e lei subito chiarí i miei dubbi.

"Non ho mai capito il motivo di questo tatuaggio, di qualche periodo ricordo solo scene confuse, ma questo" puntualizzò indicando la caviglia "Questo lo ricordo come se fosse ieri, ero nella mia stanza e mio padre intagliò con cura i numeri sulla mia caviglia per poi cospargere con l'inchiostro la ferita" spiegò incupendosi "Ripeteva sempre la stessa cosa, mentre io piangevo e lui mi diceva di stare zitta" si fermò per fare chiarezza.

"Cosa diceva?" Chiesi io a quel punto.

"Diceva che questa era la chiave" terminò, sistemandosi i pantaloni.
Riprendemmo a camminare, per dirigerci nella nostra stanza.

"Ricordi dove è quel posto?" Chiesi.
Lei annuì.
Poi calò di nuovo il silenzio.

Questa volta fu lei a far calare l'imbarazzo.
"Puoi raccontarmi di mio padre?"

Rimasi un po' ferita dalla domanda, non perché lo avesse chiesto, ma perché solo parlarne faceva ancora male.

"Era una persona buona, ma allo stesso tempo si sapeva far rispettare" feci una pausa e poi ripresi a parlare, buttando fuori tutto d'un fiato "Gli volevo bene, molto bene, non ho mai avuto vicino mio padre fino a qualche mese fa, e per me Mike era la figura più vicina ad un padre... Non credo di avergli mai detto di volergli bene, forse una, forse due volte.
Neanche lui era il tipo che ripeteva continuamente quanto ci tenesse alle persone, ma sapeva dimostrarlo, a volte i nostri occhi ci tradiscono più di quanto possano farlo le nostre parole.. Prima di scappare dalla Wicked credo di averlo odiato nel profondo, non l'ho mai detto a nessuno, non l'ho ammesso neanche a me stessa, ma credevo che lui fosse protettivo nei miei confronti solo perché ero una delle sue 'missioni di salvataggio', Sì insomma ti risparmio la storia" dissi ridendo, sapendo quanto fosse lunga la storia della mia fuga dalla Wicked "Poi ho capito che non ero solo quello, purtroppo l'ho capito quando ormai era tardi, non credevo di potermi affezionare così tanto ad una persona, non a lui almeno, era la prima cosa che mi aveva chiesto di fare all'inizio dell'addestramento 'meno persone a cui tieni, meno crepe nel cuore' me lo ripeteva sempre... Se solo sapesse di tutte le lacrime che ho versato, mi darebbe uno schiaffo" risi di nuovo al pensiero di Mike, qualche mese fa, mentre mi allenava.

Eva rimase in silenzio alla confessione, si vedeva che faceva male anche a lei, ma almeno non ne ricordava più di tanto.

"Ora andiamo Eva, domani ci servirai in forma" sorrisi dolcemente.

Lei mi fece strada, facendo silenzio in modo da non svegliare Ro che dormiva.

Prima di salire sul suo letto la rossa si girò verso di me e mi guardò negli occhi e, pur essendo buio, riuscii ad intravedere quello sguardo penetrante, poi parlò "Non devi chiudere il tuo cuore Ele, io ho sempre pensato che quando si smette di amare si smette di vivere e si inizia un po' a morire".

Spontaneamente abbracciai la ragazza e gli sussurrai quasi con un bisbiglio "grazie".

Dopo la fine, l'inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora