CAPITOLO 24

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"Forza andiamo" sbuffò Newt "Ti faccio vedere la casa".

"Quale casa?" Chiesi.

"Casa nostra stupida" sorrise.

Da come mi aveva spiegato Newt, casa nostra era distante da quello che doveva essere una sorta di coesistenza tra un'infermeria e lo studio di mio padre.

"Vuoi aggrapparti a me?" Chiese il biondo, notando quanto faticassi a camminare con la ferita alla gamba.

"Non ci penso proprio" sforzai un sorriso per mascherare il dolore, ma poco dopo fui costretta ad accettare l'aiuto di Newt a causa del dolore insistente.

Arrivammo davanti alla casa, non era enorme, ma neanche un buco, insomma faceva al caso nostro.

Entrammo, di fronte a noi c'era quello che doveva essere un salotto, con un divano polveroso e un tavolino.
Procedendo verso destra c'era una porta che conduceva alla camera da letto, anche quest'ultima non era enorme ma conteneva il necessario: un letto matrimoniale, un tavolino, con due sedie, che affacciava sulla finestra e un armadio arrangiato con qualche tavola di legno assemblata alla bene e meglio.
Dalla sala principale procedendo verso sinistra si trovava un bagno, con tutto ciò di cui si poteva avere bisogno: un gabinetto, una doccia e un lavandino.

Sorrisi, era buffo sapere di avere un lavandino ma allo stesso tempo avere la consapevolezza di non avere l'acqua.

"Cosa ti fa sorridere?"

"Non c'è acqua, che senso ha tenere un lavandino?" Sbuffai.

Lui senza parlare si avvicinò al lavandino e girò il pomello.
L'acqua usciva.

"Come cavolo è possibile?" lo guardai confusa.

Lui sorrise soddisfatto e poi parlò.
"I tizi che hanno costruito tutto questo" disse sventolando la mano "Si sono dati da fare, avevano un depuratore, Ro e Steph lo hanno aggiustato" rispose alla mia domanda, per poi aggiungere "Non chiedermi come".

"Hai voglia di riposare?" Chiesi con aria innocente.

"D'accordo, ma non farci l'abitudine, da domani dovrò dare una mano anch'io, d'altronde sei te quella ferita, non io" finito di parlare mi prese a mo' di sposa e mi portò fino al letto.

Appena venni a contatto con le fresche lenzuola il mio corpo venne pervaso da un senso di leggerezza e non ebbi neanche il tempo di togliermi le scarpe che un sonno profondo mi aveva già rubata tra le sue braccia.

Pian piano mi sentii meno stanca e mi svegliai, a malincuore, ritrovandomi Newt seduto sulla sedia di fronte a me intento a fissarmi.

"Che fai mi fissi?" Chiesi con la voce ancora impastata dal sonno.

"Sei bellissima, non potrei fare altrimenti" risponde schioccando la lingua sul palato.

Dopo aver realizzato che ero sotto le coperte senza scarpe e senza vestiti arrossii, e ringraziai mentalmente l'oscurità, in modo che Newt non potesse notarlo.

"P-perchè sono... Emh... Perché..?" Tentai di domandare, ma la vergogna prese il sopravvento.

"Tranquilla non ti ho stuprata" rise lui come un matto "Fa caldo qui, ti ho solamente tolto i vestiti perché stavi iniziando a sudare".

"Sei un cretino" iniziai a ridere lanciandogli un cuscino, che lui afferrò prontamente al volo.

"Fai attenzione Elena, non contrattacco solo perché sei una donzella ferita" risponde lui.

A quel punto ricordo la ferita e controllo: niente.
Al posto della ferita che c'era qualche ora prima ora a lasciarne il passaggio c'era solamente una piccola cicatrice.
Evidentemente mi serviva solamente riposare per rigenerarmi, d'altronde io guarivo più velocemente di una persona comune.

Dopo la fine, l'inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora