SOPHIA POV - PARTE 3

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La casa è qualcosa di maestoso e molto ben curata.
Scendo dall'auto e vado subito verso la casa, per vedere se all'interno è bellissima come all'esterno.

Appena entro noto subito che c'è qualcosa di strano nell'aria, ma non so di preciso che cosa potrà essere.
È una sensazione che viene da dentro, ma non ne capisco il motivo.
È una casa come tutte le altre, ad eccezione del fatto che si trova dietro un Campo di Lavoro Forzato per gli ebrei e tutti coloro che minacciano di rovinare la razza ariana del Terzo Reich.
Non è nulla di diverso da tutte le casa che io e Jan abbiamo visto per un possibile trasferimento fuori Berlino, nel caso in cui il suo reintegro qui in Polonia non fosse andato a buon fine.

Faccio un giro e vedo che la casa è tutta in ordine, a differenza di tutte le casa abitate solo da uomini.
Decido allora di andare al piano di sopra per andare a vedere la nostra camera da letto, il nostro nido d'amore, dove concepiremo i nostri bambini e metteremo su famiglia.

Entro nella stanza e noto che è l'unica stanza che non è totalmente in ordine, ma c'è qualcosa fuori posto, in particolare vedi un vestito bianco con le maniche lunghe appoggiato sul letto, con un biglietto.
Vado per leggere il biglietto e noto che sopra il non c'è scritto il mio nome, ma l'iniziale di un altro nome. Di un'altra donna che non sono io.

A J.
Per quando potremo finalmente vivere la nostra storia d'amore,
Jan.

Chi diavolo è J? Di che cosa sta parlando? Per quando potremo vivere la nostra storia d'amore? Ma che cosa sta dicendo?

In quell'istante Jan entra nella stanza e vede che io ho il biglietto in mano, come se non si aspettasse una cosa del genere.

Io allora mi avvicino a lui e gli sbatto in faccia il biglietto.

"Jan, chi diavolo è J? Mi devi qualche spiegazione? Quante altre donne sono passate per questo letto, eh?" domando io, più furiosa di quando abbiamo litigato prima di partire da Berlino.

"Doveva esserci scritto S, avranno sicuramente sbagliato a scrivere quegli incapaci dei miei sottoposti.
Pensavo che potessi metterlo quando verranno i miei genitori fra due settimane. Nessun'altra donna è mai entrata in questa stanza, amore mio" dice Jan e io gli credo, ad eccezione dell'ultima parte, quella dove io sono l'unica donna a passare su quel letto, ma non voglio darglielo a vedere. Voglio vedere come si comporta.

"È un pensiero così dolce Jan! Scusami se ho dubitato ancora di te. Ti giuro che non succederà più" dico io, abbracciandolo.

"Non ti preoccupare. Mi piace quando fai la gelosa" incomincia lui, con un sorriso malizioso, poi continua:  "ora andiamo che ti faccio fare un giro per il Campo di Auschwitz" dice lui, prendendomi per mano e portandomi verso fuori la stanza.

Non appena usciamo di casa, vedo che ci sta aspettando una guardia di poco più di vent'anni che ci attende fuori dal vialetto.

"Benvenuti ad Auschwitz! Io sono Karl Ultricht e sono stato incaricato da Peter Hund di portarvi a dare visita al Campo" dice lui, mettendosi nella posa di saluto Nazista.

"Peter Hund hai detto? Dove posso trovarlo?" dice Jan in tono freddo e irrigidendosi, come se si dovesse difendere da qualcosa o qualcuno.

"Si, Ufficiale Kessler. Si trova nel suo alloggio poco lontano da qui" dice lui, e Jan si gira verso di me.

"Amore, devo andare da Peter Hund per parlare di qualcosa che abbiamo lasciato in sospeso quando sono andato via. Tu intanto vai e goditi la visita" dice, baciandomi poi sulla fronte.

WIE EINE SCHWARZE ROSE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora