XXXVII.

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Non appena riapro gli occhi mi ritrovo catapultata al centro di una piazza, in mezzo a molte persone allegre e piene di vita e a bambini che corrono e ridono, come se quello che sta accadendo non sia minimamente nei loro pensieri e sia lontano anni luce, quasi inesistente.

Mi sposto di qualche metro, verso uno degli alberi rigogliosi e pieni di fiori che si trovano all'esterno della piazza e mi siedo su una panchina di ferro e dipinta di rosso che si trova a pochi passi dal centro. 

Non appena mi siedo sulla panchina noto qualcosa di strano, come se quello che sto vivendo non è la realtà, ma una semplice mia visione di dove vorrei essere in realtà, ma quello che rende tutto reale è il volto di mio padre che esce da una piccola bottega accanto alla piazza, e subito dopo vedo anche Jeremiah, mio fratello. 

D'istinto mi viene da correre verso di loro, abbracciarli forte e non lasciarli più andare, ma quello che mi blocca a pochi metri da loro è un volto familiare che non vedevo da moltissimo tempo: mia madre. Quel viso olivastro, contornato da una folta e lunghissima chioma color castano scuro, quegli occhi colore verde pieni di vita che ho sognato e desiderato di vedere ancora una volta.

Nonostante la felicità che mi sta esplodendo dentro, in quel preciso istante, mentre il mio sguardo incrocia quello gioioso di mia madre, capisco che quello in cui mi trovo in questo momento non è la realtà, ma un mondo che ho creato per scappare dell'orrore e dalla violenza in cui io sto vivendo in quel momento.
Mia madre è quella che fa il primo passo verso di me, ma io ancora con riesco a muovermi, nonostante tutti i miei muscoli volessero muoversi e correre ad abbracciarla. Perché questo sogno? Che cosa vuole dirle sua madre?

-Piccola mia come sei cresciuta- dice lei, abbracciandomi forte. Mi è mancato terribilmente tutto questo, il calore che quel gesto sprigiona minuto dopo minuto, il senso di protezione che il contatto di mia madre mi da, una protezione che in quel momento più che mai ne ha più bisogno

-Mamma- è l'unica cosa che riesco a dire, mentre le mie lacrime mi stanno rigando il viso e che non mi consentono di dire nulla di più.

-Non piangere bambina mia, sono qui ora- dice lei, accarezzandomi dolcemente la nuca.

-Mamma, non so che cosa fare. Ho tanta paura. So che mi hai insegnato ad essere forte e di resistere quando le cose di fanno dure e pericolose, ma non ho più le forze per combattere- dico io, staccandomi dall'abbraccio che non volevo che finisse.

Sono esausta. Non riesco più a trovare la forza o il motivo per combattere, se tutto ciò che voglio in quel momento è l'amore della mia vita accanto, ma che non potrò mai avere perché promesso ad un'altra donna, che decisamente gli darebbe meno problemi con i capi o con il Partito per il quale combatte e nel quale ora non crede più.
Entrare in quel Campo fa cadere tutti i principi e le credenze che avevi prima: io credevo che gli esseri umani non sarebbero mai potuti arrivare ad un livello di crudeltà verso un altro essere umano uguale a lui, ma con una credenza religiosa e una cultura diversa. Ora però ha avuto prova che il rispetto della vita e della dignità altrui per certe persone viene meno se un pazzo con le manie di grandezza dice che certi soggetti sono la causa di tutti i mali e che per tornare alla serenità devono essere eliminati. Come può la gente credere che uccidere delle persone innocenti sia giusto per il bene comune?

-So che quello che stai vivendo è orribile e che la voglia di uscirne utilizzando la via più semplice è tanta e non posso biasimarti se ci hai pensato, ma tu sei forte, la persona più forte e coraggiosa che ho mai avuto l'onore di conoscere e so che non ti fai mai abbattere da nessuno. Non permettere a quei mostri di annullarti e di farti dimenticare chi sei. Tu sei Johanna, una donna forte, coraggiosa e determinata, che se ha un obiettivo lo raggiunge a tutti i costi. Non dare loro la soddisfazione di averti fatto smettere di sperare. L'arma più forte che hai in questo momento è la speranza e loro non possono toglietela- dice mia madre, prendendomi le mani tra le sue.

Questo discorso è ciò di cui avevo veramente bisogno: avevo bisogno di qualcuno che mi facesse ricordare chi sono e perché devo andare avanti e non farmi abbattere da loro. Non posso dargliela vinta. Non è da me.
È dura, la voglia di porre fine a tutte le mie sofferenze è ancora alta dentro di me e la voglia di fuggire da quel Campo e andare a Francoforte è ancora più alta, ma non posso permettere a queste persone che essere considerarle tale e davvero troppo, di averla vinta su di me e riversare la loro rabbia per la mia fuga su altri innocenti.

-Grazie mamma. Continuerò a combattere fino a che ho forza nel mio corpo. Non gli permetterò di averla vinta. Io avrò la meglio su di loro- dice Johanna, guardando negli occhi la madre.

-Ti amo piccola mia- dice lei, posando dolcemente la sua mano destra sulla mia guancia sinistra.

-Mi manchi mamma- dico, ma non faccio in tempo a dire altro, che sento qualcuno che mi tocca la spalla, nonostante non abbia nessuno dietro di me.

I miei occhi si riaprono immediatamente e accanto a me vedo Heiffen, con un piatto di zuppa in mano.

-Riportami là dentro- dico io, scansando il piatto e facendolo quasi cadere a terra.

-Johanna, abbiamo già deciso. Fra poche ore partirai per Francoforte- dice lui, con voce autoritaria.

-Abbiamo chi? Tu, Joseph e Jan? E la mia opinione dove l'avete lasciata?- dico io, arrabbiata come mai prima.

-Ne abbiamo già parlato Johanna- dice lui, quasi seccato.

-Se me ne vado io, se ne vanno anche gli altri. Io sono come loro e non ho nulla in più per poter avere il lusso di andarmene e tornare alla mia vita, se è possibile dopo quello che ho passato qui dentro- dico io, guardando dritto negli occhi il dottore, senza paura.

-Johanna, ti prego- dice lui, supplicandomi.

-Ho deciso. Portami di nuovo lì dentro oppure ci ritorno da sola- dico io, alzandomi dalla brandina in cui mi trovo e dirigendomi verso la porta della stanza in cui mi trovo.

-Fermati. Se ritorni la dentro io e Jan non potremo più aiutarti- dice lui, affermandomi il braccio ossuto.

-Sono consapevole di questo, ma questa è una mia battaglia che voi avete contribuito ad alimentare e devo vedermela da sola- dico io, svincolandomi dalla presa di Heiffen.

-Ok, come vuoi. Domani mattina prima dell'alba ti riporto dentro- dice Heiffen, rassegnato.

Nota autrice: sono tornata di nuovo su questa piattaforma ad aggiornare WESR dopo quasi due anni che non pubblicavo un capitolo (il capitolo precedente risale al 12 giugno 2019).
Questo periodo per tutti noi è stato difficilissimo e avremo ancora moltissina strada da fare per tornare ad una parvenza di normalità e io ho voluto iniziare questo processo tornando a scrivere, nonostante io abbia avuto delle riserve sul continuare a scrivere per molteplici cose che sono successe e non voglio riempirvi di ulteriore energia negativa rispetto a quella che c'è già per via della pandemia.

Spero che ne sia valsa la pena e, a tutti coloro che sono rimasti nonostante tutto, voglio solo dirvi una cosa: GRAZIE❤

-Vostra Val.

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