JAN POV

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Sono appena arrivato a Berlino: in più di un anno che sono stato al Campo di Sterminio di Auschwitz la città è cambiata radicalmente, non è più la città florida e piena di vita che finita la guerra sarebbe diventata la Capitale della Nuova Europa, un Europa dove la razza ariana e il regine Nazionalsocialista sarebbero stati le uniche fonte di potere.

Me ne accorgo subito non appena sono sceso dalla Zoologische Garten Bahnhof, la stazione centrale della città: ad accogliermi, oltre a quattro soldati delle SS, che mi hanno scortato dal Lager fino a qui, vi sono altre cinque guardie, ma questa volta con loro vi era anche lui, Rudolf Hoess, il Capo di Auschwitz.

Se c'è anche Hoess non si mette affatto bene per il sottoscritto, e sono anche ottimista dicendo così.

"Ufficiale Kessler, mi segua" dice Hoess, senza nemmeno guardarmi negli occhi. Non pretendo che lui capisca quello che ho fatto, ma non accetto che mi si voglia giustiziato perché ho deciso di amare una persona che non rispecchia i canoni che vuole il Nazismo.

"Dove mi vuole portare, Capo?" domando io, un po' seccato di tutto questo trambusto. Nemmeno avessi ucciso uno di noi porca miseria! Vengo trattato come una bestia, ma tutto questo non lo merito. Pretendo il rispetto che i gradi che ho sull'uniforme mi conferiscono!

"Vuole proprio sapere dove la portiamo? La portiamo dall'unica persona che può farla ritornare se stesso, Signor Kessler! E ringrazi che non l'abbia fatta uccidere all'istante! Nutro un grande rispetto per suo padre, il Generale Kessler, e non voglio arrecargli un disonore e una vergogna più grande di quello che non gli ha già arrecato lei" dice lui, prendendomi per la giacca della divisa e avvicinandomi a lui, con fare minaccioso.

Non oso immaginare come possa sentirsi mio padre quando sarà venuto a conoscenza di tutto. Non mi vorrà nemmeno più come suo figlio e mia madre sarà così distrutta dal dolore per il fatto che le ho mentito che non mi vorrà nemmeno più come figlio.
Di questo a me non importa! Se non accettano Johanna, non si meritano nemmeno di avermi al loro fianco come figlio!

Camminiamo per circa una decina di minuti, prima di arrivare a una fila di macchine nere con le bandierine del Reich e del Partito sul davanti.

"Sali" mi ordina il Capo del Lager.
Salgo nella macchina, accanto a lui, e poi la vettura parte.

"Le raccomando solo una cosa: cerchi non non mettermi una brutta posizione davanti alla persona da cui stiamo andando, perché non sono finisci male te, ma anche io, cosa che non ho intenzione che accada. Su comporti come le hanno insegnato all'Addestramento davanti ad un dei massimi esponenti del nostro Paese e del nostro Partito" dice lui, raccomandandomi anche di fare il saluto Nazista e di chinarmi quando arriveremo davanti a questa persona.

Capisco subito che non si tratta di un qualsiasi esponente del Partito Nazionalsocialista, ma dell'esponente per eccellenza: Adolf Hitler.

Ora comincio ad agitarmi più che mai. Il Fueherer in persona! Ora si che mi devo seriamente preoccupare!

Dopo circa un quarto d'ora l'auto di ferma davanti ad un Palazzo imponente, decorato con la bandiera rossa con la svastica, simbolo del Partito.

Siamo arrivati.

Scendiamo dalla macchina e appena sopra le scale vedo lui, Hitler, con la sua divisa militare e con lo sguardo fisso su di me.

"Hail Hitler" dico io, facendo il saluto nazista e poi inchinandomi davanti a lui.

"Ufficiale Kessler, mi segua. Lei Hoess, rimanga qui. La farò convocare non appena avrò finito di dialogare con lui" dice lui al Capo del Campo e lui, come un buon soldatino farebbe, rimase immobile davanti alla porta di ingresso.

WIE EINE SCHWARZE ROSE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora