Non appena Jan esce dalla porta, in me incominciano a sorgere tante di quelle domande a cui, probabilmente, nessuno darà mai una risposta, o meglio, non mi dirà quello che voglio sentirmi dire.
Voglio che qualcuno mi dica che andrà tutto bene, che tutto questo orrore finirà presto e che io e l'amore della mia vita potremo stare insieme, ma questo nessuno me lo dirà mai. La verità è che nemmeno io ci credo più ormai. Non ci sarà mai un mondo in cui io e Jan potremo stare insieme senza che qualcuno ce lo impedisca, ma nella realtà la nostra storia era già destinata a non essere felice e a non realizzarsi già in partenza, ma io sono una che va sempre controcorrente e che se crede fermamente in una cosa, nessuno potrà farle cambiare idea. Vedevo in questa relazione e in questo amore una luce in fondo al tunnel buio che è la guerra.
Dovevo già capire che io e lui non possiamo mai stare insieme, senza che questa maledetta idea che noi ebrei siamo il male dell'umanità, la malattia da debellare, ci impedisse di vivere la nostra vita. Dovevo capirlo da quando Peter Hund si è presentato alla porta della casa di Jan e mi ha fatto quelle atrocità, chiedendo a Jan di fare lo stesso. Dovevo capire già in quel gesto che Jan è destinato ad essere quella persona, anche se so per certa che lui non è come tutti gli altri tedeschi. Io so per certa che lui è una brava persona, in fondo al suo cuore, ma deve mantenere alto l'onore del Nazionalsocialismo. Questa è l'orribile verità e, anche se non voglio farlo, la devo accettare.
"Johanna, dammi la piccola che dobbiamo andare prima che scoprano che sei qui" dice Heiffen, avvicinandosi a me e al mio piccolo pargolo esanime, ma io mi allontano un po'.
Non voglio separarmi dalla mia creatura, l'unica cosa bella che c'è in questo mondo, anche se non potrà mai vedermi, non potrà mai ridere, sorridere, piangere, giocare e vivere. I tedeschi, con le loro continue botte, mi hanno tolto anche questo.
"No! Voi non potete togliermi anche questo! Vi siete già presi la mia casa, la mia famiglia, il mio nome, la mia dignità e non vi prenderete mai la mia bambina" dico io, con le lacrime che stanno rigando il mio viso e il mio sguardo rivolto verso quel bellissimo faccino che sembra quasi che sorrida.
"Johanna, guardami bene. So che può sembrare difficile, ma lo devi fare. Lo devi fare per lei, per te stessa. Devi essere forte perché altrimenti qua dentro ti ammazzeranno. La speranza e il coraggio sono le uniche cose che ti aiuteranno a sopravvivere. Devi contare su te stessa e non su di me, su Jan, sulla tua famiglia o sul tuo Dio, ma sono su te stessa. Dovrei poter tornare indietro nel passato e ammazzare Hitler ancora prima che metta in atto questo piano folle, vorrei tornare indietro per potermi ribellare a questo orrore e a salvarle quelle vite invece che assecondare gli esperimenti che mi chiedevano di fare su quei poveri piccoli bambini indifesi, ma non posso. Posso cercare, per quanto impossibile sia nella mia situazione, a rimediare ai miei errori salvando te. Ho fatto una promessa ad una persona e la voglio mantenere" dice lui, guardandomi dritta negli occhi con uno sguardo quasi a far trasparire il suo enorme senso di colpa.
Do un bacio sulla fronte del corpicino esanime che ho tra le braccia e glielo porgo al dottore, convincendomi che devo essere forte, per lei, che non è riuscita nemmeno a vedere la sua mamma, il suo papà e respirare la vita, per quanto possa esserci di vita qua dentro.
Subito dopo che le porgo la bimba, mi ritornano in testa le ultime parole dette dal medico, precisamente: ho fatto una promessa ad una persona e la voglio mantenere.
Che promessa ha fatto? Perché proprio io? A chi ha fatto la promessa?
Se quella persona fosse stata Jan lo avrebbe detto senza problemi, ma se non me lo dice vuol dire che è stato un'altra persona, ma chi?
"A chi hai fatto questa promessa? Perché mai avresti dovuto farla?" domando io, forse con un tono troppo acido.
Heiffen si blocca immediatamente, come se le domande che gli ho posto fossero le uniche che non dovevo fare e questo non fa altro che alimentare in me la voglia di sapere chi è stato e perché.
"L'altro giorno qui si è presentato una guardia con un giovane ragazzo che a malapena si reggeva in piedi, chiedendomi di sistemarlo, altrimenti il suo capo lo avrebbe giustiziato" comincia a dire il dottore, sedendosi accanto a me sul lettino.
"Successivamente, la guardia è uscita, lamentandosi della puzza che emanava il giovane prigioniero, e rimasi solo con il ragazzo.
Mentre lo stavo visitando mi ha detto una cosa, ma non sono riuscito a capire e me la sono fatta ripetere.
Avvicinandomi al ragazza, mi ha detto queste esatte parole: so che sei amico di mia sorella e ti chiedo di proteggerla", dice il tedesco, girando la sua testa verso di me.Quindi il mio Jeremiah ha chiesto ad Heiffen di proteggermi? È ancora vivo? Sta bene? Dove lo tengono prigioniero?
"Dov'è mio fratello? Portami da lui!" dico io, scendendo dal lettino, ma perdendo l'equilibrio e cadendo a terra. Non sono ancora in forze per poter stare in piedi da sola.
"Non posso dirti dove si trova e tantomeno portarti lì, perché entrambi rischieremo la pelle, compreso tuo fratello. Sta bene, almeno per quanto possa stare bene qui dentro. È forte" dice lui, avvicinandosi a me e aiutandomi ad alzarmi.
In piedi appoggiata ad Heiffen, ci dirigiamo verso la porta di uscita. Heiffen prende la bimba e usciamo dalla baracca.
Fa freddo, tanto freddo. Non riesco nemmeno a muovermi da quanto freddo ho. Tremo, ma devo forza e camminare più veloce che posso per non farci scoprire.
Non appena arriviamo alla fine del campo, c'è una piccola fossa, e lì mette la mia bambina.
Con quella piccola illuminazione che c'è vedo che, oltre alla mia bambina, ce ne sono altri, moltissimi e la cosa mi fa rabbrividire."Siete dei mostri" dico io, con un tono disgustato e sprezzante al giovane medico che mi sorregge.
Lui non dice una parola, ma si limita solo a girare lo sguardo da un'altra parte e a dirigersi verso la sua piccola abitazione.
"Non appena arriviamo nella mia casa, ti dirò come riuscirai ad andartene da qui" dice lui, ma io ormai non credo più alle persone che mi dicono queste cose.
L'ultima volta che qualcuno ha detto quelle stesse parole, mi sono ritrovata in una baracca dove le guardie mi picchiavano e mi hanno fatto perdere il bambino.Non voglio illudermi. Non più.
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WIE EINE SCHWARZE ROSE
Ficción históricaVarsavia, 24 Gennaio 1942. Johanna, una ragazza ebrea, sta festeggiando il suo compleanno con il padre e il fratello, ma non è un compleanno come tutti gli altri. Da ormai molto tempo Johanna è nascosta nella casa della sua amica Uma perché i tedesc...