Sono passate due settimane dalla proposta di matrimonio di Jan e la nostra vita ora è completamente diversa, come se ci stessimo riscoprendo per la seconda volta e questo è una cosa davvero magica, che mi ha fatto completamente passar dalla mente quello che quelle due donne avevano detto su di lui al mercato qualche tempo fa.
Oggi, però, è un giorno speciale per noi: ritorneremo ad Auschwitz, dove prima Jan lavorava.
Sono così emozionata di andare a vedere con i miei occhi quello che tutti dicono che sia una delle punte di diamante del Terzo Reich di Adolf Hitler."Amore, come ti senti a ritornare nel luogo che ti spetta di diritto?" dico io, non appena lui esce dalla camera per la colazione.
Per un momento lui non dice una parola, come se ritornare al Campo per lui fosse una forzatura, una cosa che lui non vuole minimamente.
"Sono felice, tesoro. È solo che non so se quello è il posto che devo occupare. Se non fosse la cosa giusta per me? Se chiedessi di rimanere qui a Berlino? Voglio dire, quel Campo non ha fatto altro che darmi rogne e poi non voglio mischiarmi con quelle bestie. Troppi problemi" dice lui, ma io lo conosco abbastanza bene da capire che quello non è il vero motivo per cui non vuole tornare, facendomi tornare in mente tutti quei dubbi su di lui e sul suo ritorno in patria dal Campo e le chiacchere di quelle due donne ritornano a rimbombarmi nella testa.
"Amore, guardami bene perché te lo dirò una volta sola: tu non sei destinato a rimanere qui a dettare regole a quattro ragazzini che vogliono diventare i nuovi Adolf Hitler, ma tu sei destinati a comandare e questo lo sai anche tu. Non dire mai più una cosa del genere ok? Tu sei l'unico che può mettere in riga quegli scarti umani che lavorano lì dentro" dico io, avvicinandomi a lui e prendendo con le mie mani il suo viso, facendo sì che mi guardi negli occhi.
"Hai ragione, forse. Non dovrei crearmi tutti questi problemi. Ora però facciamo colazione che dea un'ora arriverà una macchina che ci porterà dritti alla stazione, prima ci farà smontare a Cracovia e poi prenderemo una macchina del Campo ci porterà direttamente al Campo" dice lui, divincolandosi dalle mie mani e guardando la colazione.
Che cosa gli prende? Dove è quel Jan Kessler che ho conosciuto mesi fa? Dove è lo stesso Jan Kessler che mi ha chiesto di diventare sua moglie?
Sembra che al suo posto vi sia una persona che non ho mai conosciuto.Dopo circa una decina di minuti vado a prepararmi, arrabbiata e anche molto triste.
Apro il mio armadio e prendo l'unico vestito che ho lasciato dentro, un vestito al ginocchio di seta rosso Bordeaux con le maniche lunghe, abbinato ad una pelliccia nera, che mi sono fatta spedire direttamente dalla Francia l'anno scorso, quando mio padre è andato a Parigi per conto del Partito Nazionalsocialista.Nello stesso istante entra Jan, che mi prende per i fianchi e mi avvicina a lui, con l'intenzione di baciarmi e forse andare anche oltre, ma io mi stacco immediatamente da lui e vado al bagno per cambiarmi.
"Che cosa ti prende questa mattina Sophia?" domanda Jan, attraverso la porta del bagno.
"E hai pure il coraggio di chiedermelo? Questa mattina sembra che io stia parlando con un estraneo! Che diavolo è successo a Jan Kessler? Rivoglio indietro il mio futuro marito!" dico io, in lacrime.
"Mi dispiace amore, ma per me è difficile ritornare in quel posto, anche perché non so più se quello che voglio è stare la dentro" dice lui e sono ancora più arrabbiata di prima.
Non mi immaginavo che fosse un rammollito del genere!
Che cosa ha per la testa? Vorrei dirgli tutto quanto, dei pettegolezzi e delle donne del mercato, ma voglio solamente andarmene da questo posto e andare a fare la vita che ho sempre desiderato e che mi spetta di diritto!
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WIE EINE SCHWARZE ROSE
Ficción históricaVarsavia, 24 Gennaio 1942. Johanna, una ragazza ebrea, sta festeggiando il suo compleanno con il padre e il fratello, ma non è un compleanno come tutti gli altri. Da ormai molto tempo Johanna è nascosta nella casa della sua amica Uma perché i tedesc...