XXXIII.

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Rientrata dalla baracca, non smetto di pensare alla collana di mia madre nelle mani di Jan.

Mi ricordo quando mio padre me la regalò il giorno del mio compleanno.
Uno dei pochi momenti di luce durante quel periodo prima della cattura.

Mi immagino mia madre con quella collana addosso e me la immagino bellissima, con gli occhi lucenti e con un sorriso a trentadue denti.
Me la immagino bellissima, nella nostra casa di Varsavia, durante un pranzo domenicale, mentre ci porta in tavola una delle sue grandi specialità, una ricetta che probabilmente le ha insegnato la nonna.

Mi immagino esattamente così quando uscirò di qui, attorno ad un tavolo, durante il pranzo della domenica con il mio bambino gattona per tutta la stanza e Jan che gioca con lui, ma la realtà dei fatti è un'altra: Jan si sposerà con Sophia e io sarò morta.

Spero solo che il mio bambino si salvi e possa vivere una vita normale, pensando che la mamma lo ha amato sin dal primo giorno che ha scoperto della sua esistenza.
Non voglio che viva la mia stessa vita, se si può chiamare vita.

"Johanna, che cosa è successo fuori? Sei stata via un sacco di tempo e temevo che saresti morta" dice Angela, preoccupata e visibilmente sollevata di vedermi.

"Ero con Jan. Siamo stati insieme e non mi sono minimamente accorta che il tempo stesse scorrendo così velocemente. Quando sto con Jan, sembra che il tempo non passi mai" dico io, con gli occhi lucidi, ma non per quello che ho provato in quegli istanti, ma per la consapevolezza che non li potrò più vivere.

"Johanna, lo so che è difficile da accettare. Si vede la luce che hai negli occhi quando lo nomini e parli di lui, ma sai benissimo che queste cose non sono reali e questo ti fa stare male, sentire una stupida perché ci hai creduto e ti sei illusa.
Anche io spero ancora che Joseph si innamori ancora di me, perché, nonostante tutto, è mio marito e se l'ho sposato c'è un motivo. Capisco anche che lui non mi guarderà mai come prima, perché ora sono un'appestata, una ragazza da cui stare alla larga. Ho imparato a conviverci, ma il dolore non se ne andrà mai" dice Angela, guardando prima me, poi la porta.

Lei spera ancora che lo stesso Joseph di cui si è innamorata ci sia ancora e che possano scappare un giorno insieme.
Siamo esattamente sulla stessa barca, ma a poco a poco la barca si sta affondando.

Nello stesso istante in cui Angela smette di parlare, mi è arrivata una fitta alla pancia così forte che a fatica riesco a trattenere le urla. Un dolore mai provato prima. Un dolore che uccide.

"Johanna, tutto bene?" domanda Angela, mettendo una mano sulla mia schiena.

Non riesco nemmeno a parlare da quanto mi faccia male, ma cerco di non far notare il dolore, facendo cenno di sì con la testa.

Il dolore si attenua per qualche minuto, per poi tornare sempre più forte, come se un intero esercito mi stesse dando calci sulla pancia e sulla schiena. In quel preciso istante capisco che qualcosa non va e non posso più nascondere il male.

Inizio ad urlare e piangere come mai avevo fatto.
Il dolore non accenna a fermarsi e questo mi sta facendo spaventare, tanto che il mio respiro di blocca.

"Johanna!" inizia ad urlare Angela, cercando di sdraiarmi nella mia parte di letto e sveglia tutte le ragazze che sono nella baracca.

"Che sta succedendo?" domanda una delle donne più anziane presenti ed Angela le dice quello che nessuno doveva sapere, ovvero che sono incinta.

"Caspita! Non è un buon segno! Johanna, sdraiati su un fianco se riesci" dice la signora, sperando che il dolore si plachi, ma non accenna a farlo.

"Mi fa malissimo la pancia Angela" dico, con anche la testa che mi scoppia.
L'unica persona a cui riesco a pensare è il mio bambino. Devo cercare di farmi forza e non mollare. Lo faccio per la nostra famiglia. Non voglio che muoia.

"Aiuto! Aiuto! Aiuto!" urla Angela, sperando che un soldato fuori in perlustrazione la senta.

"Che succede?" domanda il soldato, entrando nella baracca. È Joseph.

"Ha dei forti dolori alla pancia e alla schiena. Joseph, è incinta" dice Angela, con le lacrime agli occhi, non curante che ha appena chiamato per nome uno degli aguzzini del Campo.

"Ora ci penso io. Vedo se Heiffen è disponibile" dice Joseph prendendomi in braccio e facendosi strada tra le altre prigioniere.

Non appena metto la testa fuori dalla baracca inizio a vedere tutto nero.

Mi risveglio nell'ambulatorio di Heiffen, con lui e Joseph che mi guardano, come se fosse appena morto qualcuno.

Poi guardo verso la pancia e noto che nella zona delle mie parti intime c'è del sangue.

"Che cosa diavolo è successo? Ditemi che il mio bambino è vivo! Heiffen! Dimmi che il mio bambino è vivo!" dico io, con le lacrime agli occhi e aggrappandomi alla manica del camice del dottore.

"Johanna" dice lui, prendendo la mia mano, ma non fa in tempo a finire la frase che io comincio a piangere e ad urlare.

"No! Non è possibile! Il mio bambino! Jan!" urlo io, tra le lacrime e appoggiando la mia testa sul petto del dottore.

"Mi dispiace, ho fatto di tutto per salvarlo, ma non c'è stato nulla da fare. Era una bambina" dice lui, con tono triste, quasi come se stesse per piangere anche lui.

"La piccola è qui, se vuoi vederla" dice Joseph, ma Heiffen lo guarda subito con uno sguardo che poteva uccidere anche senza fare nulla.

"Ti prego Heiffen, me lo dovete" dico io, mentre Heiffen va verso un piccolo bancone, dove si trovava un piccolo batuffolo bianco.

Me lo porge e lo apre.

La mia bambina! Il mio piccolo raggio di sole!

Nel frattempo, Heiffen va verso il telefono, mente Joseph si avvicina a me e mette una sua mano sulla mia spalla.

"Tu non devi toccarmi! È per colpa tua e dei tuoi amici se la mia piccola bambina è morta!" dico io, scansando il soldato.

Il sogno di vedermi in un salotto con il mio amato che gioca con la nostra bimba si è appena smaterializzato.

È vero che qui dentro non si potranno mai avere momenti felici.
Da qui non si esce vivi, ma cadaveri.

L'unica cosa che voglio ora è raggiungere il piccolo pargolo che tengo in braccio in Cielo.

WIE EINE SCHWARZE ROSE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora