II.

5.6K 183 19
                                    

Oggi è un bel giorno d'Inverno, forse il più bello di tutti: il 24 Gennaio 1942, il giorno del mio ventireesimo compleanno.

Dovrebbe essere un giorno di festa, uno di quelli che aspetti per dodici mesi, dove ricevi i festeggiamenti maggiori, con tutti i parenti, gli amici, dove ricevi una montagna di regali magnifici; ma non è questo il mio caso.

Per me è un giorno come tutti gli altri, uno di quei giorni che tu speri passi velocemente e nel quale, a fine giornata, tiri un sospiro di sollievo per il fatto che i tedeschi non abbiano preso noi e preghiamo che, il giorno seguente non tocchi a noi.

Io so per certo che toccherà anche a noi, se non oggi, domani, dopodomani, la settimana prossima, il mese prossimo, ma verranno anche da noi. Ci prenderanno e ci porteranno nei campi di lavoro che si vedono in TV, dove i grandi lavorano e i bambini giocano.

Mio papà ha paura ugualmente. Non vuole che ci portino li, l'ho sentito parlare con il suo collega Ibrahim su quei campi.

Facevano discorsi del tipo:
È inutile che i tedeschi ci mostrino quelle cose perché non è la verità.
Io so qual'è la verità.
Ci mandano a morire. Ci tratteranno come bestie, ci faranno morire di fame, freddo, stanchezza e noi, a questo, decideremo di ucciderci perché non possiamo vivere così, non possiamo essere trattati così, tanto moriremo prima o poi in questi campi, perciò meglio morire ora e non aspettare di morire senza dignità.

Adesso ho paura. Quando mi addormento, sogno sempre questo discorso e, solo al pensiero di quello che ci potrà succedere, mi si gela il sangue.

E se fosse tutto vero? Se quei campi non esistessero e al loro posto ci sono dei luoghi da dove non si farà mai più ritorno.

"Auguri piccola mia" dice mio papà, porgendomi un piccolo pacchetto con carta verde.

"Grazie papà" dico io, aprendo il regalo.

È una piccola scatolina bordeaux con all'interno una piccola collanina d'oro con un ciondolo a forma di farfalla.

"Ma è bellissima" dico, piangendo di gioia abbracciando mio padre.

"Era di tua madre. Lo ha sempre indossato, dal giorno del sua nascita a quello della sua morte. Mi ha anche detto che se le fosse successo qualcosa, di regalarlo a te al tuo ventireesimo compleanno" dice mio padre, piangendo con me "è un'età molto importante per tua madre. È il suo numero fortunato. La farfalla sta per la libertà. Amore mio, tu dovrai essere forte, non devi farti mai abbattere da quegli essere incivili e cattivi, tu devi fargli capire che tu sopravviverai e che loro non avranno mai il potere su di te" conclude mio padre.

Stiamo piangendo da ormai quasi un'ora.

Non solo per gioia, ma anche per la paura, per la tristezza, per la frustrazione, per tutto quanto.

"Auguri amica mia" dice Uma, entrando nella nostra stanzetta, con tre fette di torta al cioccolato, la mia preferita, e un pacco enorme per me.

"Grazie amica mia. Non eri obbligata a farlo" dico io, non appena la mia amica si siede sul pavimento, accanto a me e a mio padre. Mio fratello ancora dorme.

La nostra stanzina è una cantina buia, con tre materassi, una piccola candela quasi del tutto sciolta e una piccola porticina che porta ad un bagnetto con due bacinelle, una vuota per i bisogni fisici che uno ha e una con dell'acqua calda per farci il bagno.

Stavamo festeggiando come non facevamo da due anni, quando sento una macchina fermarsi vicino alla casa e, pochi secondi dopo, un uomo bussa violentemente alla porta.

"Signorina Voriskova! Apra subito la porta! Dobbiamo ispezionare la casa per vedere se c'è qualche rifiuto umano a casa!" urla sprezzante quell'uomo.

Lui sa che dietro ci siamo noi, ma vuole far credere di no.

Sentiamo dei colpi di fucile e circa quattro persone che entrano in casa.

Ci stringiamo tutti quanti a mio padre e ci mettiamo in un angolino. Tremito come delle foglie, anche Uma.

Chi aiuta noi ebrei a nasconderci, viene ucciso all'istante per tradimento contro la razza pura di cui lei fa parte.

Sentiamo che salgono le scale e sento che di fermano. Sono qui davanti, posso sentire benissimo i loro discorsi in tedesco che non capisco bene, ma sento che pronunciano il nome di Uma.

Sfondano la porta e urlano qualcosa di incomprensibile, ma sicuramente delirante, in tedesco.

Prendono per il capelli la mia amica e le puntano la pistola in testa.

"Grazie Uma per la collaborazione. Sapevamo che su di te potevamo contare" dice il ragazzo che ha preso la mia amica, abbassando l'arma e dandole un bacio appassionato sulle labbra.

"Sei stata tu? Come hai potuto amica mia! Ci conosciamo da una vita! Perché l'hai fatto?" le urlo contro, piangendo, delusa, triste e arrabbiata.

Ci tenevo un sacco a lei come amica. Era l'unica persona che, dopo l'invasione tedesca e l'attuazione delle leggi di Norimberga, mi era rimasta amica e non mi aveva abbandonato.
È come se mi fosse arrivata una pugnalata al cuore innavertitamente.

Un soldato di avvicina a me e mi da un pugno un faccia, avendomi sanguinare il naso.

"Sta zitta lurida giudea! Guarda che hai fatto? Mi hai infettato con il tuo sangue sporco! Dovrò andare subito dal dottore, puttana!" mi urla a un metro dalla faccia, dandomi un calcio sullo stomaco.

Il dolore è indescrivibile, ma devo essere forte, per mio padre e per Jeremiah.

Ci ordinano di alzarci in piedi e ci spintonano fino all'uscita di casa.

Ci fanno salire su un furgone verde e puzzolente.
Il viaggio verso il nostro destino si sta rivelando più orribile di quanto avessi immaginato.
Abbiamo fame, sete e dobbiamo fare i nostri bisogni.
Dopo circa sette ore di viaggio, senza mai fermarci, ci fermiamo e tiro un sospiro di sollievo.

Mio fratello piange e io e mio padre temiamo come delle foglie.

Ci sono tantissime persone come noi, con la stella gialla sul cappotto.

Uomini, donne, bambini e anziani. Tutti. Non risparmiano nessuno.

Dopo circa venti minuti in coda, arrivo davanti ad un cancello dove noto una scritta agghiacciante.

Arbeit Macht Frei.

Un soldato, un sguardo freddo e sorriso agghiacciante, ci dice ridendo:

"Benvenuti ad Auschwitz"

WIE EINE SCHWARZE ROSE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora