Le parole del Dottor Heiffen continuano a bombardarmi la testa senza sosta, come se volessero convincermi che quella è la verità, che riuscirò a salvarmi e potrò avere la vita che voglio, libera dalle persecuzioni, ma la realtà vera, quella che dal 1939 si è insediata nel mondo che conosco, è ben diversa da questa: non saremo mai liberi, anche se la guerra finirà.
Per la mia gente e per tutte le persone che sono nella mia stessa situazione, la libertà, la dignità e noi stessi non esistono più e non ci saranno mai più, perché il ricordo di quello che abbiamo passato rimarrà indelebile nella nostra testa e non se ne andrà mai via.Quando ripetevo nella mia testa che un giorno potrò vivere la mia vita come un essere umano e come ho sempre desiderato, con la mia famiglia, mi stavo solamente illudendo e i fatti dell'ultimo periodo lo confermano: i pestaggi, Jan che è obbligato a stare con una donna che è il sinonimo del male, le persecuzioni da parte di altri soldati, la fame che ogni giorno partiamo e molto altro.
Dopo questo potrà mai esserci una libertà? Solamente se tutto questo potesse essere cancellato dalla mia mente e dalla mente di tutti gli altri forse potremo avere una libertà, ma anche questo è da vedere.La casa di Heiffen non è tanto distante dal campo, ma la strada che porta verso quello che dovrebbe essere un luogo sicuro per me, sembra non finisca mai. Nella mia mente è una strada infinita, senza una fine.
Durante il viaggio, un guardo nemmeno negli occhi il dottore, ma riesco solamente a vedere il buio che c'è davanti a noi, nero come la pece e come la mia mente ora.
In quel momento vorrei solo gettarmi a terra e aspettare che qualche tedesco mi uccida, perché non riesco più a sopportare nulla, a vivere.
La speranza che avevo è andata via e non tornerà mai più.
Quello che però provo in questo momento non è la mancata speranza o la stanchezza, o almeno non è quello che è maggiormente nella mia mente. Mi sento in colpa.
In colpa di essere stata salvata all'inizio, quando tantissime altre donne come Angela sono rimaste lì.
In colpa di amare una persona che non potrò mai avere e di essermi privata così dell'amante incondizionatamente una persona che realmente mi ami e che mi stia accanto.
In colpa perché in questo momento io me ne sto andando via, verso un posto dove potrò forse essere libera da questi animali che trattano le persone diverse da loro come esseri insignificanti, lasciando qui persone che realmente credono ancora che ci sarà qualcuno che li verrà a salvare."Voglio farti una domanda e mi devi rispondere sinceramente: quelle persone, quelle che ancora dovranno sopportare tutto questo, riusciranno mai a salvarsi?" domando io, con una voce talmente flebile che Heiffen mi ha chiesto di ripetere, avvicinando l'orecchio alla mia bocca.
"La verità? Non penso. Le persone che sono all'interno di questi campi non hanno un'aspettativa di vita molto lunga e, ora come ora, gli Alleati non riusciranno a salvarli. I nazisti, quelli che ancora credono e che non sono stati fucilati per diserzione e tradimento al Reich, sono talmente motivati ad eliminare le persone come voi che in qualche modo riusciranno a finire la loro missione" dice Heiffen, con un tono di voce molto franco e senza un briciolo di speranza che mi faccia cambiare idea.
"Allora io non posso andarmene. Io non ho nulla in più di loro per potermene andare. Voglio restare, perché non voglio vivere con il rimorso di essermi salvata e gli invece no. Non ce la potrei mai fare" dico io, bloccandomi a pochi metri dalla casa del dottore.
"Johanna, lo so che per te è difficile, ma io non posso fare altrimenti. Tu puoi ancora salvarti, mentre loro no e questa è la verità" dice lui, venendo verso di me e cercando di sbloccarmi da dove sono, senza successo. Le poche forze che mi sono rimaste le sto concentrando tutte sul rimanete immobile.
"Io non posso essere salvata. Non voglio essere salvata" dico io, con la voce rotta dal pianto.
Una parte di me vuole salvarsi, ma quella maggiore, quella che prevale in me, è l'altra, quella che non vuole salvarsi. Non voglio salvarmi, perché non potrò mai riottenere nulla di quello che volevo e di quello che, prima della deportazione, desideravo. La Johanna che quella volta avevano portato all'interno di quel vagone, che voleva lottare ed essere forte per sopravvivere anche nella casa del suo aguzzino, non esiste più. Se ne è andata e non tornerà mai più.
"Ti prego Johanna" dice lui, prendendomi un braccio e cercando di spostarmi.
"Ho detto che voglio rimanere qui perché io non voglio essere privilegiata rispetto a loro, perché loro sono la mia gente e io sono come loro. Non ho nulla in più rispetto a loro. Almeno questa volta fatemi scegliere a me" dico io, ma non sembra che Heiffen abbia afferrato.
"Mi dispiace Johanna. Devi venire con me" dice il dottore tedesco, prendendomi di peso e portandomi nella sua casa.
Cerco di divincolarmi, ma non riesco e non ho più le forze di lottare. Ormai non ho più nemmeno la facoltà di scegliere se morire o meno.
Arrivati nella casa, un edificio all'apparenza grande, ma entrati nella casa, si può capire che è solo un'illusione: ha solamente un salone con un divano e una piccola cucina e due stanze, una quella dove dorme lui suppongo.
"Eccoci. Ora ti porto nella tua stanza e quando ti sveglierai, ti parlo bene del piano di fuga" dice, portandomi nella terza stanza e ultima stanza che ha la casa del Dottore, dove c'è una grande scrivania con dei libri e una brandina. Deduco che questo sia il suo studio che ha adibito a camera non appena ha scoperto che sarei dovuta venire io.
Non appena il giovane medico esce dalla stanza, io crollo sul letto, senza forze e senza voglia di vivere.
Come faccio a vivere questa vita, quando so che sarò l'unica a sopravvivere, che nessuno si salverà e che io sono stata obbligata a salvarmi, quando non ho più nulla per cui andare avanti.
Jan non sarà mai l'amore della mia vita perché ha un obbligo, ovvero sposare Sophia.
Il mio bambino, la mia creatura e l'unico che mi ha fatto andare avanti, me lo hanno ucciso loro e nessuno ha mosso un dito per questa barbarie.
La mia famiglia, Jeremiah e mio padre, non ce la faranno mai e io non sono riuscita a dir loro addio e dirgli che andrà tutto bene, anche se è un'utopia.
La mia libertà, la mia dignità e la mia vecchia vita mi sono stati rubati quando sono salita su quel vagone insieme ad altri ebrei di Varsavia, stipati come bestie, da quelli che professano la libertà della razza ariana, che dicono cose così folli che è impossibile che qualcuno ci creda.
Che senso ha vivere se non sono più io?
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WIE EINE SCHWARZE ROSE
Historische RomaneVarsavia, 24 Gennaio 1942. Johanna, una ragazza ebrea, sta festeggiando il suo compleanno con il padre e il fratello, ma non è un compleanno come tutti gli altri. Da ormai molto tempo Johanna è nascosta nella casa della sua amica Uma perché i tedesc...