IV

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"Vedi di farmi trovare la cena pronta quando torno, altrimenti ti rispedisco insieme ai tuoi amici ratti che stanno qua dietro" dice l'uomo con tale odio nei miei confronti e in quelli della mia gente che davvero mi fa quasi paura.

"Certo signore" dico io con un filo si voce che quasi non si sente.

Prende il suo giaccone ed esce, sbattendo la porta violentemente.

Ma perché ha preso me? Cosa ha trovato in me che altre ragazze non hanno? In un certo senso le altre ragazze perché almeno in questo contesto orribile, si fanno coraggio tra di loro, mentre io sono qua, da sola e l'unica persona che mi può fare compagnia mi vuole anche morta.

Devo contare solo su me stessa. Nessuno, tantomeno un tedesco egocentrico e arrogante che si sente uomo solo quando picchia noi poveri ebrei che non abbiamo mai fatto nulla alla sua gente, solo perché un pazzo che in suo libro ha scritto che noi siamo il male da eliminare, allora tutti la prendono sul serio come si prende sul serio la Bibbia, mi può abbattere.

Prima che il tedesco torni a casa, inizio a preparare la cena, anche se sono solo le quattro del pomeriggio.
Apro il frigorifero e vedo che all'interno ci sono solo una confezione di una carne mai vista e un po' di carote.

Incomincio con il curare le carote e tagliarle a rondelle, per poi metterle in un pentolino e cucinarle.

Poi passo alla carne. Nel tentativo di di decifrare il tipo di carne si fanno le sei di sera e lui tra un'oretta sarà a casa.
Mi velocizzo nel cucinare la carne, che ci mette più del previsto a cucinare e questo mi mette in agitazione.

I minuti passano e la carne non accenna a cucinarsi bene.
Nel frattempo preparo la tavola, cercando di imbandirla cercando di capire i suoi gusti, altrimenti mi picchierà e questa volta potrei anche non farcela.

Metto una tovaglia bianca con qualche fiore azzurro ricamato e i tovaglioli ricamati. Metto le posate argento che sono nel cassetto vicino al forno e un bicchiere di cristallo che è nella credenza vicino alla porta d'ingresso.

Vado a controllare la carne e, finalmente, si è cotta alla perfezione, come volevo io. Spero solo che sia di suo gradimento.

Ora devo solo decidere che cosa mettere da bere sulla tavola. Acqua o vino? O birra? Penso che, però, lui sia più tipo da vino.

Vado in cerca della bottiglia di vino perfetta e, nel mobiletto che sta sotto la televisione, trovo la bottiglia perfetta: un Merlot del 1926.

Lo metto sopra la tavola e il soldato fa rientro in casa.

"Dov'è la mia cena?" domanda lui, ma il tono che usa è diverso. Mi sembra sofferente, come se avesse male da qualche parte.

"Eccola qui, signore" dico io, mettendo in tavola il piatto.

"Se mi posso permettere, in frigo non è rimasto molto" dico io, con voce tremante e impaurita.

"Domani mattina vado a fare la spesa" dice lui, guardandomi con disprezzo, come se non avessi dovuto fare quell'osservazione.

Mi dirigo verso un angolo, aspettando che il soldato finisca di mangiare ma, non appena mi allontano, sento la sua voce dire: "Sai come curare una ferita, ebrea?"

"Me la cavo" dico io, avvicinandomi "mi faccia vedere la ferita" concludo.

Lui si sdraia sul divano e si leva la camicia. Ha un brutto taglio su un fianco, dovuto da un oggetto affilato, ma non un coltello.

"Come si è procurato questa ferita, se mi è permesso di domandare?" domando io, sempre con la paura di ricevere un ceffone oppure un pugno in viso.

"Non ti è dato sapere lurida giudea! Allora, è grave?" domanda.

"È abbastanza profonda. Le vado a prendere delle bende. Dove le posso trovare?" domando io. Mi fa cenno verso il bagno e io vado verso la sua indicazione.

Entro nel bagno e cerco in tutti gli scomparti per cercare le bende e finalmente le trovo. Accanto vedo un flaconcino con delle pastiglie di ansiolitici con un biglietto:

da prendere tutte le sere!

Prendo sia le bende che le pastiglie.
Torno in salotto e lui mi fulmina con lo sguardo.

"Ci ti ha dato il permesso di guardare nei miei cassetti?!" urla, dolorante, e mi tira uno schiaffo. Fa male, tanto. Ho la guancia che mi brucia.

"Erano vicine alle garze. Scusi, non capiterà più" dico io, mettendo le bende sulla ferita e dando lui le pastiglie. Si chiama Jan Kesser.

"Vai giù nel semiterrato. Li starai fino a quando non mi stancherò di te, schifosa puttana" mi ordina, freddo e sprezzante.

Corro verso il seminterrato e mi metto in un angolo, il più buio e il più lontano dalla porta, anche se la stanza è molto piccola.

Mi sdraio prendendomi le ginocchia e tramando per il freddo; si saranno minimo -2 gradi!

"Mi manchi mamma" dico, chiudendo gli occhi e piangendo.

N/A

Ecco a voi il nuovo capitolo!
So che non è un capolavoro, ma mi sarebbe dispiaciuto molto non poter continuare la storia e lasciarla così incompleta.

Grazie comunque a tutti coloro che mi sostengono❤ a voi devo l'ispirazione❤

Se avete qualche domanda sulla storia, o su qualcosa in generale, passate nel "libro" #ASKINHUMAN98❤

Un abbraccio grande,

Vale

WIE EINE SCHWARZE ROSE Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora