CAPITOLO 20

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Arrivo ansimando davanti al portone verde.
Maledetta me che il senso dell'orientamento non l'ho mai avuto.
Io e gli sport non andiamo molto d'accordo e, pur essendo in ritardo di quasi venti minuti, mi concedo qualche istante per permettere al rossore di abbandonare la mia faccia e ai piedi di smettere di pulsare, avessi saputo di dover correre la maratona non avrei mai indossato dei tronchetti con tacco a spillo.
Obbligo le goccioline che stavano per trasudare dalla fronte ad arrestare il loro percorso e con le mani cerco di acconciare al meglio la coda alta, riportando al loro posto alcuni ciuffi ribelli.
Il giaccone in pelliccia sintetica nero è slacciato, il collant nero velato mi sta pizzicando le gambe all'inverosimile ma il vestitino nero in pizzo che ho così saggiamente deciso di indossare ne richiedeva la presenza.
"Tre ore per prepararmi e guarda qui, sono un disastro" bofonchio tra i denti.

Un ultimo sospiro e finalmente sono pronta, entro, qualche passo ed ecco il piano bar.
È così diverso dalla prima volta, i tavolini sono riempiti da persone di ogni età, sul palchetto un pianoforte a coda nero suonato egregiamente da un uomo brizzolato in smoking.
Il bancone del bar è affollato e un barista armeggia con maestria le bottiglie e lo shaker.
Dopo essermi guardata un po' intorno finalmente noto Daniel in un angolo lontano dal trambusto, quindi, attenta a non disturbare l'atmosfera magica che vibra nell'aria, lo raggiungo.

"Come siamo eleganti" dico a voce bassa poco prima di abbracciarlo e lasciargli un bacio sulla guancia.
È perfetto, i folti capelli neri sono tirati all'indietro, probabilmente dall'abile mano di un barbiere, ha una camicia blu notte, i jeans di poco arrotolati sul calcagno, scarpe eleganti e infine un cappottino lungo fino a metà coscia grigio scuro.

"Sei in ritardo" ribatte lui picchiettando l'indice sulla punta del mio naso.
"E sei anche bella da togliere il fiato" aggiunge con una scintilla di malizia a illuminargli gli occhi.

Lo ringrazio fingendo che il complimento appena ricevuto non mi abbia mandato il subbuglio lo stomaco poi lo affianco per portare lo sguardo sulla folla.

"Non pensavo lo aveste già inaugurato" dico lasciandomi massaggiare le orecchie dalle note del piano.

"Abbiamo ufficialmente aperto i battenti alle ventuno e trenta di stasera" afferma lui.

"Perché non me lo hai detto prima? Avrei potuto darti una mano" lo rimprovero alzando leggermente la voce.

Ora capisco il motivo per cui ieri sera era tanto di fretta.

"Perché mi andava che lo scoprissi così" risponde tranquillo sollevando le spalle.

Lo osservo per un attimo cercando di capire se il suo atteggiamento sia positivamente misterioso o semplicemente irritante.
Una cosa è chiara, non scoprirò presto cosa balena nella testa dell'uomo imprevisti, decido che d'ora in poi lo soprannominerò così.

"Godiamoci la festa per ora, voglio presentarti alcuni amici, poi potremo parlare noi due in un posto meno affollato" dice portando il braccio dietro alla mia schiena.
Accetto.

Passano alcune ore, Daniel mi ha presentato Fabio, il barista, al quale ha categoricamente proibito di chiedermi denaro per i cocktail, non solo ora ma anche nelle serate a venire.
Poi i suoi migliori amici e compagni di facoltà: Michele e Lorenzo.
Se ci penso queste persone rispecchiano a pieno lo standard che io e i ragazzi del gruppo tendiamo a odiare.
Orologi da migliaia di euro al polso, mocassini e puzza sotto il naso.
Daniel sembra così diverso, non pensavo potesse essere tanto legato a gente così.
Michele durante la conversazione si è fatto sfuggire un commento sgradevole nei confronti di una certa "Patty" che è stata definita chiattona con il padre fallito dopo che questa si era fermata a salutarlo e lui di tutto punto aveva elogiato la bellezza del suo outfit, senza che gli fosse chiesto nulla.
Lorenzo invece più taciturno si è limitato a fissarmi tutto il tempo, con la faccia di chi vorrebbe essere ovunque tranne che nel posto in cui si trova.

NON MI LASCERÒDove le storie prendono vita. Scoprilo ora