CAPITOLO 21

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"Chiara, tutto bene?"domanda Daniel preoccupato.
Era passato quasi un minuto da quando la chiamata era terminata e ancora rimanevo lì, con lo sguardo perso nel vuoto e il telefono attaccato all'orecchio.

"Hai la macchina?" domando ancora in trance.

"Si, è parcheggiata poco distante da qui. Però ti prego dimmi qualcosa, mi stai spaventando!" Mi scuote per le spalle ma non reagisco.

Staccandomi dalla sua presa, inizio a infilare le scarpe con movimenti automatici.

"Dovresti accompagnarmi all'ospedale se per te non è un problema" la bocca si muove, le mani mi rivestono eppure sembra che sia qualcun'altro ad agire per conto mio.

"Ospedale? Sì, ti accompagno, ma ti scongiuro spiegami cos'è successo?" Passa le mani tra i capelli e mi guarda implorante per avere una risposta.

"Io, io devo andare all'ospedale" Daniel si dovrà accontentare di agire senza sapere, per il momento. Non sono in grado di fornirgli una spiegazione.

"Ok, tranquilla andiamo" mi prende la mano e mi accompagna fuori dall'abitazione.
Conduce lui, avanti a me.
Si volta ogni tanto, mi stringe di più la mano, credo per accertarsi che sia ancora veramente lì.

Saliamo in macchina, il viaggio è più veloce di quel che speravo.

Sto per scendere quando mi sento bloccata, Daniel mi sta trattenendo per il braccio.

"Chiara guardarmi un istante, non stai bene e qualunque cosa ti stia aspettando là dentro temo possa solo peggiorare le cose. Io sono qui per te ma non posso essere davvero presente se non capisco cosa sta succedendo. Chi c'è in ospedale?" Ha nel mentre preso entrambe le mie mani tra le sue.

"Claudio" rispondo atona.

"E chi è Claudio?" Mi incoraggia ora che è riuscito ad avere un nome.

"Mio padre. È morto".

Il viso di Daniel sbianca all'improvviso, gli occhi si congelano sgranati mentre le sopracciglia li oscurano lentamente abbassandosi.

Mi avvolge con le forti braccia trascinandomi verso di lui. Appoggia le labbra sulla mia fronte donandomi un bacio di puro affetto.
Rimaniamo così per qualche  istante poi sussurra "quando sarai pronta usciremo da qui. Ci sono io con te".

Annuisco ed esco dalla macchina senza aspettare un secondo di più, la calma che mi pervade mi spaventa eppure non sono in grado di impartire comandi al mio stesso corpo. Daniel in un baleno è già di fianco a me, mi prende di nuovo per mano, questa volta sembra essere più calmo anche lui.

Arriviamo silenziosamente alla camera, gli infermieri sono lì ad aspettare.

"Puoi farmi un favore?"

"Tutto quello che ti serve" risponde Daniel impaziente di rendersi utile.

"Questo è il mio telefono, chiama Max, digli di venire a casa mia tra un paio d'ore e chiedigli di avvisare anche Pony. Se te lo chiederà dì pure la verità, lui capirà".

Daniel fa cenno di sì con la testa, prima di prendere il cellulare però si rivolge ancora a me.

"Chiara, sarò qui fuori tutto il tempo. Chiamami se hai bisogno di me".

Gli sorrido carezzandogli il viso e riesco a mormorargli un "grazie".

Mi volto verso la porta, è arrivato il momento. Entro.

Le luci della stanza sono basse, forse è sembrato giusto al personale creare l'atmosfera per un momento simile.
Il letto di fianco al suo è vuoto, il compagno di stanza è stato trasferito momentaneamente per dare ai familiari la privacy necessaria. Già, i familiari.
Tutte le macchine sono spente, non servono più.

Gli occhi ora cadono sul quel corpo inerme disteso, coperto solo da un sottile lenzuolo, tirato su fin sotto le ascelle.
Una sedia al suo capezzale aspetta me per essere occupata, ho bisogno di un attimo per prendere il coraggio per farlo.

Assurdo come quell'uomo riesca a intimorirmi anche ora che la vita lo ha abbandonato per sempre.

Mi siedo mantenendo le distanze.

È così diverso dal solito.

L'incarnato giallo dato dall'ittero è più marcato, accompagnato da sfumature violacee e grigiastre.
Intorno agli occhi chiusi si sono formati grandi solchi neri, tutti i lineamenti del volto sono più marcati, duri, le labbra sottilissime rimangono leggermente dischiuse.
Sembra quasi di osservare uno sconosciuto, di Claudio è rimasto solo un vago ricordo.

L'espressione sembrava quella di una persona che, dopo aver terribilmente sofferto, finalmente può riposare tranquilla.
Il dottore lo aveva detto che sarebbe stato un calvario.

Le mani mi si ancorano alle cosce, stringono forte la carne, mentre il piede sinistro batte ritmicamente sul pavimento verde acqua.
La gola è secca, il cuore un continuo sussulto.
L'odore di disinfettante passa attraverso le narici e sembra graffiarmi dall'interno.

La morte di persona non mi era mai capitata di vederla, così definitiva, così irrimediabile.

"Hai visto cosa hai combinato ubriacone bastardo?" Gli chiedo incurante che qualcuno da fuori possa sentirmi, sperando che quelle parole riescano a raggiungerlo ovunque ora si trovi.

"Sei morto da solo, non oso immaginare la paura che hai provato quando hai realizzato che il conto alla rovescia era iniziato, niente voci di supporto, nessuna lacrima versata per te o un volto familiare a tenerti compagnia.
Cos'hai fatto prima di chiudere gli occhi? Hai parlato con Dio? Gli hai implorato perdono? E lui? Ha accolto la tua richiesta?"

Appoggio le mani sul cuscino, disponendole  ai lati del suo capo, per farlo mi sollevo dalla sedia. Ora sono china su di lui.

"Hai sempre pensato solo e soltanto a te stesso, eppure lo sapevo, che in fondo, in un remoto angolo della tua anima, si celava un buon uomo, altrimenti la mamma non ti avrebbe mai amato. Lei che per te ha combattuto, anche se invano. Altrimenti io non sarei qui e non avrei mai provato ogni volta a perdonarti. Ti ho anche voluto bene.

Gli lascio un bacio sulla fronte. Abbassando il tono della voce, fino a sussurrare mestamente.

"Ora che te ne sei andato anche tu come farò? Non ho un soldo, e la casa? Come potrò restare nell'unico posto che mi ricorda lei, l'unica cosa che mi ha aiutato a sopportare il dolore inflitto dalle tue mani?"

Una lacrima gli bagna la guancia, è mia, ne ho versata una, solo una.

"Perché? Che cosa ti ho fatto di male? Che cosa vuoi ancora da me?" COSA TI HO FATTO RISPONDI!" provo a scuoterlo in cerca di una risposta, gli tiro un ceffone ma nulla, non potrò mai averne una e lo odio, lo odio con tutta me stessa.

Mi stacco da lui.
Provo a sistemargli i capelli ora leggermente scompigliati dalle scosse. Faccio lo stesso anche con me. Tiro il lenzuolo, miglioro la sua postura e infine mi avvio verso l'uscita.

Un sospiro, il cuore batte più lentamente.
Conto mentalmente fino a tre e finalmente posso mettere in atto quello che grazie a lui ho imparato a fare meglio,
spegnere i sentimenti.

Mi volto un'ultima volta verso di lui.

"Brucia all'inferno papà".


Ragazzi questo capitolo è stato un vero e proprio parto, mi ha scossa e amareggiata eppure continuo a non essere convinta al 100%. Che mi dice? Vi ha trasmesso qualcosa?
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Baci.

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