Diario di un'adolescente Cap. 2

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Ecco a voi, la seconda parte del diario di un adolescente che ho pubblicato ieri.

(Trovata su internet)

Capitolo 2.

Io ed Eros eravamo vicini di banco ma in due mondi diversi. Quando ero accanto a lui mi mancava il respiro ed il cuore martellava come un tamburo.
Era bellissimo, così bello da togliere il fiato. Un angelo dall'aria di ghiaccio.
Biondo, alto, con due occhi di un azzurro intenso. Il suo sguardo era magnetico, lo spettacolo più bello che avessi mai visto.

Era un tipo misterioso, non parlava molto e farmi perdere la testa fu il suo essere introverso. Ero come prigioniera di un incantesimo e nella mia mente lo vedevo come un salvatore, un angelo arrivato per portare via la solitudine.

Ai miei occhi lui era l'amore, ma ai suoi occhi io ero invisibile. Lo osservavo di nascosto, furtiva come una ladra. Cercavo di andare oltre la maschera di indifferenza che portava. Dietro quella facciata si nascondeva un ragazzo fragile, che ne aveva passate tante, anche lui aveva delle ferite nascoste e profonde.

I suoi occhi raccontavano più della bocca e traboccavano di sofferenza, quella che portava era solo un'armatura. Voleva apparire duro e distaccato per difendersi dalla gente e non mostrare le proprie cicatrici.

In classe si sparse la voce della verità. Suo padre l'aveva abbandonato quando era piccolo ed aveva lasciato la madre con due bambini da crescere. Quella notizia mi sconvolse.
Non riuscivo ad immaginare quanto si sentisse solo. Aveva lo sguardo di chi era dovuto crescere in fretta e la fragilità di un bambino abbandonato.

Passavano i giorni e non riuscivo ad avvicinarmi a lui e anche se eravamo vicini di banco non avevo neanche il coraggio di rivolgergli un saluto. Tra noi c'era un muro che non riuscivo ad oltrepassare.

I suoi occhi vennero catturati da una mia compagna, Angelica. Nonostante l'apparenza da brava ragazza era la persona più cattiva e prepotente che avessi mai incontrato. Tutti i ragazzi erano pazzi di lei e anche Eros. La guardavano con occhi innamorati e avrebbero fatto di tutto per conquistare la sua attenzione. Aveva un forte potere sulla classe, gli altri la ascoltavano e la seguivano.

Non ho mai capito perché mi prese di mira. Voleva distruggere ogni mia amicizia e farmi restare sola. In classe formò un gruppo di cui era il capo. Per farne parte c'erano delle regole da rispettare. La prima di queste vietava qualsiasi contatto con gli "esclusi".

Tutti i miei compagni si schierarono dalla sua parte. Le uniche emarginate eravamo io e la mia migliore amica Stella. La scuola diventò per noi un vero inferno. Un incubo senza fine. Entravamo in classe e tutti ridevano alle nostre spalle e ci guardavano male. Nessuno voleva stare con noi e ci evitavano come se avessimo una strana malattia.
Arrivarono a rubare le nostre cose e a farci continuamente "scherzi". Durante l'ora di educazione fisica ce ne stavamo in panchina e non eravamo mai invitate alle feste.
Ci facevano sentire diverse e vedevo gli occhi di Stella colmi di tristezza. Dentro di me mi sentivo in colpa... se non fosse stata mia amica forse l'avrebbero smessa di prenderla in giro.

Eravamo amiche dall'asilo e avevamo condiviso ogni attimo. Non c'eravamo mai separate e per me era come una sorella. Ecco perché la sua sofferenza era anche la mia. Ogni giorno tornavo a casa in lacrime, pregando che la smettessero. Non ce la facevo più a vedere Stella stare male e mi domandavo perché ci stavano facendo tutto questo.

Un giorno entrai in classe e vidi il banco di Stella vuoto. Se ne era andata... ora al suo posto c'era un'altra ragazza. Sedeva al primo banco insieme alle altre, faceva anche lei parte del gruppo e non mi rivolgeva più la parola. La sentii ridere di me e anche i suoi occhi erano stati contaminati dalla cattiveria. Dov'era l'amica dolce e gentile che conoscevo?
Ora sul suo volto c'era una maschera. Si truccava e nascondeva ogni debolezza.
Anche lei recitava insieme a tutti gli altri. Quel giorno fu uno dei più brutti della mia vita.
Senza sfiorarmi erano riusciti a distruggermi. Mi avevano portato via ogni cosa e mi avevano spezzato il cuore. Come avrei fatto a vivere senza la mia metà?

Sentivo dentro un dolore profondo, come se avessi conficcata una lama nel petto. Una parte di me soffriva da morire e l'altra parte si ripeteva che era giusto così perché aveva smesso di stare me a causa mia.

Ogni giorno sopportavo in silenzio insulti e umiliazioni. La cosa peggiore era vedere le persone a cui tenevo ridere di me. Per loro era divertente farmi del male ed erano felici di vedermi in lacrime.

Mi guardavano con occhi pieni di disprezzo e odio. Usarono i miei sentimenti per ferirmi e anche Eros si unì agli altri. Di fronte a tutta la classe un mio compagno gli chiese "Dici la verità ti piace Bianca?"

"Ma l'hai vista quanto è brutta?!?" rispose con tono divertito. Tutti intorno scoppiarono a ridere in coro. Cercai di trattenere le lacrime, ingoiai il loro sapore amaro. Scappai e restai chiusa in bagno piangendo di nascosto.

Non vedevo l'ora di tornare a casa e chiudermi nella mia stanza lontano da tutti. Era stato troppo umiliante, un'umiliazione che non avrei mai dimenticato. Quella ferita non sarebbe mai guarita e l'avrei portata dentro per tutta la vita.

Volevo odiare Eros con tutta me stessa ma non ci riuscivo perché vedevo del buono nelle persone, anche in quelle che mi facevano male. L'unica persona che odiavo era me stessa e non vedevo niente di buono in me. Giorno dopo giorno mi convincevo che aveva ragione. Mi guardavo allo specchio e odiavo il mio riflesso. Quel corpo era solo un peso, un bozzolo in cui mi sentivo impacciata e brutta.

Odiavo essere la ragazza timida, troppo buona e ingenua. Ero io ad essere sbagliata con le mie imperfezioni. Disprezzavo il mio corpo a tal punto da nasconderlo e vivevo la mia vita nell'ombra. Non volevo più uscire di casa e il pensiero di stare in un posto affollato mi faceva venire l'ansia. Ero diventata così insicura da pensare che tutti mi avrebbero derisa e giudicata. Anche andare a scuola mi creava ansia. facevo di tutto per evitarla, fingevo di essere malata pur di stare a casa. Quando tornavo nessuno si accorgeva di me. Iniziavo a pensare di Non essere importante. Se domani fossi scomparsa a chi sarebbe importo? Chi se ne sarebbe accorto? Angelica mi grido in faccia che tutti erano stati meglio senza di me e che nessuno mi voleva.

Non parlai a nessuno di quello che succedeva a scuola, neanche ai miei genitori. Non si accorsero di niente e sapevo che non mi avrebbero creduto. le mie ferite erano interiori, cicatrici invisibili.

Mi sentivo vuota, come un fantasma di cui nessuno si accorgeva. Ad uccidermi erano state le parole sparate come pallottole dritte al cuore. Si perché le bocche possono essere armi distruttive e arrivare nel profondo come lame.

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