Come è noto, non esiste una definizione giuridica di bullismo. Si è certi, però che il fenomeno è in costante aumento tra gli ambienti più giovanili. Vi sono giochi, come quelli della "lotta", gli "inseguimenti", che si possono tranquillamente osservare nei cortili delle scuole, nei giardini, nei parchi pubblici e che rappresentano una forma di gioco tipica dei bambini. In questi casi vi è spesso uno scambio dei ruoli, e si assiste anche a scambi di risate e riappacificazioni. Cosa ben diversa, quando la lotta e l'inseguimento siano adducibili ad un comportamento sistematico di prevaricazione e "abuso", in tal caso non vi saranno scambi di ruoli, risate, ma solo terrore, ansia e paura. Solitamente il fenomeno del bullismo, si associa ai minori di sesso maschile, ma, in verità, esso non risparmia neanche le ragazzine, in questi ultimi casi, al contrario. si è soliti parlare di "bullismo rosa" ed è forse la forma più sottile.
Esso si differenzia dal primo poiché la "bulla" solitamente ha una maggiore inclinazione alla manipolazione; utilizza un tipo di aggressività per lo più verbale e di tipo psicologico (si parla, infatti, anche di "bullismo psicologico") diretta all'esclusione della vittima. Le molestie si traducono anche in derisioni sul fisico, sul modo di vestire, attraverso pettegolezzi, occhiatine, risate che la malcapitata riceve ogni giorno, restando fuori da qualsiasi gruppo. Le conseguenze, sono devastanti. Sul piano giuridico, il primo vero problema che si pone nel parlare di un simile argomento è quello relativo al suo inquadramento nel sistema normativo penale vigente. Manca nell'ordinamento giuridico italiano una fattispecie criminosa ad hoc che lo disciplini e lo sanzioni. In verità, la previsione di una definizione giuridica del bullismo fino ad oggi non si è resa necessaria poiché i vari comportamenti agiti dai minorenni, hanno sempre trovato la possibilità di essere valutati alla stregua di altri reati già presenti nel codice penale.
Anche in Europa non esiste una normativa di riferimento e i Giudici degli Stati membri riconducono le espressioni delittuose di bullismo ad altre fattispecie di reato già esistenti, che si manifestano ora in forme di aggressione fisica (lesioni, percosse, violenza privata), aggressione psichica (minaccia, diffamazione), ora virtuale (cyberbullismo ) o anche di aggressione reale (danneggiamenti). Ebbene si. Non c'è dubbio, ci troviamo di fronte a comportamenti illeciti o, illegittimi, e, il diffondersi degli atti di bullismo con l'incremento degli episodi di violenza tra i più giovani, ha portato le istituzioni, i legislatori nazionali e sovranazionali, la dottrina e la giurisprudenza, ad interrogarsi e a rispondere a nuove domande, prime tra tutte la seguente: un minorenne che fa il bullo con i suoi coetanei o con altri ragazzini considerati diversi, ha la maturità per comprendere il significato delle sue azioni e per capire che le sue condotte possono configurare dei reati? Perche queste domande? È molto semplice. Perché laddove la risposta fosse affermativa, non ci sarebbero ostacoli ad applicare al minore lo stesso trattamento sanzionatorio previsto in generale dall'ordinamento, per tutte le persone imputabili. Ma se questo è vero, occorre allora rispondere ad un'altra domanda: è adeguata la normativa vigente? Oppure è necessario un intervento legislativo che tenga conto della maturità precoce che oggi si riscontra nei ragazzi?
Come noto il nostro diritto penale, ritiene il minore non imputabile. A dirlo è l'art. 85 c.p. secondo il quale imputabile è colui che al momento della commissione del fatto era «capace di intendere e di volere». La norma sintetizza il complesso delle condizioni fisico-psichiche di normalità che debbono sussistere affinché sia possibile attribuire ad un soggetto la responsabilità di un fatto penalmente rilevante, rendendolo così meritevole di pena. La capacità di intendere fa riferimento alla capacità di ciascuno di comprendere la realtà, il significato e le conseguenze dei propri comportamenti. Di contro, la capacità di volere è intesa come l'attitudine del singolo ad autodeterminarsi, ovverosia la capacità del singolo, a fronte di una molteplicità di possibili comportamenti da adottare, di scegliere quali condotte prediligere. Ai fini di un giudizio positivo sulla responsabilità dell'agente, è necessaria la sussistenza di entrambi i due requisiti, al momento della commissione del fatto. Una siffatta condizione soggettiva si presume in capo a colui che abbia compiuto il diciottesimo anno di età.
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Il bullismo
ContoQui scrivo delle testimonianze che ho trovato molto significative a me. Spero che vi possono far capire molte cose.