Capitolo 3

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CAPITOLO 3

Per schiacciare l’attesa prendo dalla tasca il biglietto datomi dall’uomo e leggo cosa c’è scritto:

UNITA’ 3 – HAWTHORNE

TENDA PER UNA POSTAZIONE – UNITA’ 25 DIP. 3

Avrò anche io la mia tenda. E’ più di quanto sperassi. Da quando casa mia è saltata in aria ho dormito sempre dove capitava, sempre se riuscivo a prender sonno.

Non mi accorgo che nel frattempo la piazzetta intorno a me si è popolata. Tutti stanno aspettando come me finché non arriva un ragazzo in uniforme, con la pelle olivastra e i capelli neri che sale sul muretto e ci invita ad avvicinarsi a lui.

Lo facciamo senza molte esitazioni e lui attacca con il suo discorso:

“Salve a tutti. Mi chiamo Gale Hawthorne, sono il comandante dell’unità di ripristino 3.” Rimango perplessa, quel ragazzo deve avere solo un paio di anni più di me! Come può essere già uno dei capi?

“Il nostro compito è quello di ricostruire innanzitutto la maggior parte delle abitazioni per cercare di svuotare il prima possibile il campo profughi. Noi siamo la squadra più grossa del distretto, domani mattina vi unirete ai vostri compagni. Tre quarti di voi lavorerà sulla abitazioni, la restante parte dovrà costruire le fondamenta per il nuovo ospedale insieme ad una parte della squadra dell’unità 5”

Il suo sguardo si fece tetrò, ci guardò a lungo prima di aggiungere: “Non sarà un’impresa facile. Qui nel 2 ci sono ancora dei gruppi provenienti da Capitol City che vorrebbero ritornare al vecchio regime per riavere la loro supremazia. Cercheranno in tutti i modi di ostacolarci. Direi che la guerra non è del tutto finita.”

Dovevo immaginarmelo. Il Distretto 2 è sempre stato il maggior alleato di Capitol City. Nel momento della sua invasione probabilmente la maggior parte dei capitolini si è spostata qui con la speranza di poter attirare quanti più sostenitori.

Questa cosa mi spaventa..

“Ho bisogno di avere i vostri dati personali. Sicuramente vi è stato dato un biglietto con scritto il luogo del vostro alloggio e la vostra unità di appartenenza. Vi ci accompagnerò io, ora per favore uno alla volta venite da me per farvi registrare”.

Per la seconda volta nella giornata mi inserisco nella fila e aspetto il mio turno, quando mi ritrovo di fronte al ragazzo mi rendo conto che è ancora più alto di quanto sembrasse. I suoi occhi grigi sono inespressivi, non lasciano trasparire nessuna emozione. Sembra fatto di ferro.

Dopo che gli comunico il mio nome e la mia età mi squadra leggermente e poi schiocca le dita come per dirmi che posso allontanarmi dalla fila. E’ un gesto di superiorità che non mi piace.

Quando tutti finiscono di registrarsi Howthorne ci accompagna alle nostre tende, percorriamo tutto il campo profughi prima di trovare la nostra zona. A me è toccata una tenda molto piccola, utile solo per dormirci e appoggiare il mio zaino, invece ad altri componenti della mia squadra è stata assegnata un’abitazione più grande, dettata dal fatto che molti di loro hanno portato con sé membri della famiglia.

All’interno della tenda c’è un sacco a pelo ed una lampada ad olio.

Non appena mi libero del mio zaino esco fuori e noto che in fondo sono disposti i bagni e le docce pubbliche. Vedendoli mi ricordo che in effetti una doccia non mi farebbe affatto male, quindi rientro in tenda, prendo il unico e piccolo asciugamano, dei vestiti puliti e mi dirigo verso le docce femminili.

Una ragazza che deve avere la mia età aspetta che esca per prendere il mio turno. Approfitto per chiederle se possiamo usare l'acqua corrente per poter lavare i vestiti sporchi.
Lei annuisce.

“Puoi recarti qui e chiedere un secchio con l'acqua ai responsabili. Puoi venire solo una volta alla settimana però. Un lavaggio ogni sette giorni per ogni persona, è la regola"
Annuisco e le lascio spazio.

Decido di non usufruire subito dell'unica possibilità che ho di fare il bucato, così torno alla mia tenda e ripongo ordinatamente in un angolino i vestiti sporchi, pronti per essere presi quando deciderò di farlo.

La ragazza che poco fa mi ha aiutato passa davanti alla mia tenda, così decido di avvicinarmi.

“Comunque grazie per avermi aiutata” dico con un sorriso.

La ragazza si volta e mi sorride di riamando: “Prego, è stato un piacere. Io mi chiamo Veronica.”

“Sono Nicole” rispondo.

Noto che i suoi profondi occhi blu che mi osservano, e alla fine dice: “Non sei del 2, vero?”

“No. Vengo dal Distretto 11, sono arrivata oggi. Da sola.” Cerco di sottolineare l’ultima affermazione, per fare in modo che non mi faccia domande sulla mia famiglia. Evidentemente lo capisce perché non me ne fa.

“Beh Nicole” sorride più intensamente “Ti do il benvenuto nel mio Distretto. Questa è la nostra tenda. Ci vivo con i miei genitori, fortunatamente siamo riusciti a sopravvivere tutti alla guerra.” Mi indica una coppia di signori che sta accendendo il fuoco. Veronica è la copia esatta di suo padre.

Anche io assomiglio tanto a mio padre. I miei grandi occhi color nocciola, i capelli morbidi e la carnagione non troppo scura, a differenza di molti abitanti del mio distretto, sono i tratti che ci accomunano.

Che ci accomunavano.

Sento una fitta allo stomaco non appena comincio a pensare alla mia famiglia ma fortunatamente Veronica distoglie la mia attenzione.

“La sera la maggior parte di noi ragazzi si riunisce nella zona periferica. Ceniamo tutti lì. Vuoi venire? Oppure preferisci mangiare da sola la tua razione di cibo?”

“No no, vengo. Fammi strada.” Forse mi ci vuole un po’ di compagnia.

Ci spostiamo tra tutte le tende dell’accampamento, arriviamo quasi alla fine quando noto una moltitudine di ragazzi seduti in cerchio attorno ad un piccolo fuoco. Veronica si avvicina ad alcuni di loro, io rimango un po’ più distante e noto che qualcuno mi sta guardando.

Giro la testa ed incontro degli occhi color ghiaccio. Mi fanno rabbrividire e poi mi rendo conto che appartengono al mio comandante. A Gale.

La vita di Gale dopo la rivolta: FF su Hunger GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora