D.

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Dammi la mano.

Credo che l'aver appena sentito la serratura scattare con un suono sinistro non sia propriamente da considerarsi un segno positivo. Il fatto che sia stato Sirius a chiudersi la porta alle spalle, insomma, lo è decisamente ancora meno.

A quanto pare Evans è del mio stesso parere - ecco l'ennesimo dettaglio che abbiamo in comune, mi ritrovo a constatare con un mezzo sorriso - visto che sgrana gli occhi e non esita a precipitarsi immediatamente all'ingresso. Precipitarsi non rende comunque effettivamente l'idea, perché si è appena scaraventata contro la porta e sono spinto a pensare che si sia fatta anche un po' male.

«Non ci credo. No, non può essere.» continua a ripetere come una litania, mentre con la mano si ostina a girare e rigirare la maniglia. «Merlino, dimmi che sto sognando. Ma che ho fatto di male per meritarmi tutto questo?»

«Evans, non andremo tanto lontano facendo così. Calmati un attimo.»

Stare zitto sarebbe stata certamente l'idea più saggia che potessi prendere in considerazione, se non fosse che il mio cervello non pare mai nemmeno lontanamente contemplare eventuali sagge idee. Perché Evans si è improvvisamente voltata dalla mia parte, il che vuol dire che si è miracolosamente ricordata della mia esistenza e adesso ha abbandonato l'intento di spaccare la porta per precipitarsi verso di me. E ho la vaga impressione che voglia spaccare anche il sottoscritto, per inciso.

«Tu.»

Arriva a qualche centimetro da me e mi punta un indice sul petto, sfoderando quello sguardo da adesso-ti-uccido che ho imparato a riconoscere come le mie tasche.

«Io?» domando innocentemente, deglutendo e sbattendo piano le palpebre.

Negare, negare sempre fino alla morte è la regola numero uno.

«Tu.» ripete con più enfasi e non so spiegarmi il perché, ma questo pronome pronunciato da lei ha il vago sentore di essere una minaccia. «Tu e il tuo amichetto Black avevate calcolato tutto! Siete perfidi, meschini, viscidi e...»

«Frena frena frena.» cerco di interrompere quel fiume in piena che sono le sue parole, alzando anche le braccia in segno di resa come per esplicitare la mia più totale incolpevolezza, ma non è come se a lei importasse minimamente di quello che sto facendo.

«...e assolutamente, irrimediabilmente stupidi. Degli idioti colossali, i più grandi che abbiano mai attraversato i corridoi di Hogwarts.»

Perfetto, Evans è andata. Parla senza ormai più guardarmi in faccia, inveendo contro me e Sirius con un'espressione talmente concentrata da farmi presupporre che si stia impegnando per scovare nella sua mente gli insulti che evidentemente ritiene più azzeccati. E intanto, come se non bastasse, continua a sbattermi ritmicamente la sua delicata manina contro il petto.

«Evans, che diamine stai dicendo?» provo ancora, bloccandole piano le mani e interrompendo in questo modo il suo flusso di coscienza così ricco di drammaticità.

«E me lo chiedi anche?» mi domanda, inarcando un sopracciglio come se fossi io quello folle della situazione e guardandomi dritto negli occhi. «Sto insultando te e Black, mi pare evidente.»

«Va bene, questo l'avevo capito.» replico, alzando gli occhi al cielo di fronte all'ovvietà delle sue parole. «Ma sai, sapere il perché di questo tuo improvviso accanimento nei nostri confronti mi sembra il minimo.»

Per tutta risposta spalanca ancora di più le palpebre, ed è forse grazie a questa minima distanza che c'è tra noi che riesco a vedere alla perfezione ogni singola sfumatura dei suoi occhi. C'è questo verde così brillante che le dà un'aria infantile a prescindere dal broncio offeso che sta sfoggiando adesso, in un modo che fa crollare le mie resistenze come se non fossero altro che fragili castelli di carte.

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