Mi sono sempre sentita uno spazio aperto. Una di quelle parentesi che rimangono così, quelle che nessuno si ricorda mai di chiudere. Come una porta appannata da cui entrare e uscire facilmente. Quasi un semicerchio che nessuno ha il coraggio di chiudere. Mi sono sempre sentita una ribelle, una di quelle stronze che camminano per i corridoi alla ricerca di un bersaglio, di qualcuno da prendere di mira. Tutto un muro. Un muro di fuoco, di pietra, questo ancora non mi è chiaro. La gente si meraviglia di come in passato abbia potuto avere un migliore amico. Manuel, si chiamava. Quando provammo a scappare di casa insieme fu bellissimo, mettemmo in valigia le prime cose che trovammo, e partimmo con pochi spiccioli in tasca ma tanta, tantissima voglia di vivere. Il nostro sogno era l’America, avevamo sempre immaginato che un giorno ci saremmo stati, insieme. Avremmo visitato Las Vegas, New York, saremmo andati a trovare il Presidente e avremmo passato le notti sul cofano dell’auto a fissare la scritta HOLLYWOOD che sembrava uscire dalle steppe. Quando entrai in macchina pensai che ero una sciocca a partire così, a quindici anni. Erano due anni fa. E sembra ancora ieri. Nonostante questo, però, mi sentii abbastanza libera (uno spazio aperto, appunto) da non preoccuparmi di nulla, della mia famiglia, della scuola. Ero stanca di ragionare. Manuel aveva diciannove anni all’epoca ma ne dimostrava esattamente la metà. Mi aveva insegnato a fare le cose di petto, a non riflettere, e da quando conoscevo lui la mia esistenza aveva preso tutt’altra piega. Mia madre imprecava ogni giorno contro di lui, malediceva quel sabato sera che l’avevo conosciuto, ma non sapeva che lui per me era tutto. Era il mio punto di riferimento. Lui aveva aperto il mio spazio, aveva lasciato in sospeso la mia parentesi e aveva appannato la porta. Mi aveva resa libera. Senza pensieri. Peccato che quel viaggio non riuscimmo mai a farlo. Almeno non insieme. Mia madre si presentò fuori casa di Manuel mentre stavamo caricando i bagagli sull’auto e mi guardò indispettita.
-Che diavolo sta succedendo?- aveva domandato fissandomi dritto negli occhi.
-Sto partendo, Kat- chiamavo mia madre per nome, non so perché. Credo che fosse stato proprio Manuel a farmi prendere l’abitudine. Era raro che lui la chiamasse Katerina, e mi aveva insegnato che i diminutivi rendono le persone meno sicure, e questo andava sempre a nostro favore.
-Tu non vai da nessuna parte Christina.
-Chris, perché diavolo non mi chiami Chris?- odiavo il mio nome. La guardai entrando in macchina dal lato del passeggero- e comunque io farò il mio viaggio in America.
-In America?- ci guardò sbigottita
-Si, che c’è di male Kat?- Manuel la guardò mentre finiva di fumare la sua Marlboro.
-Tu non puoi portare una minorenne all’estero senza il permesso dei suoi genitori- si rivolse a lui incenerendolo con lo sguardo. Storceva il naso a causa della puzza del fumo, era una cosa che proprio non sopportava. Per questo gli avevo nascosto il fatto che fumassi anche io. Avrebbe fatto di tutto per farmi smettere. Manuel mi guardò sconfitto. Era assurdo che mia madre dovesse decidere della mia vita, era una cosa che non riuscivo ad accettare. Assolutamente.
Fissai Manuel alla ricerca di una spiegazione. Davvero il viaggio sarebbe saltato per colpa di Kat? Mia madre prese il mio bagaglio e lo portò con se obbligandomi a seguirla. Non riuscii a dire niente a Manuel, per me fu altrettanto un’esperienza bellissima anche il solo fatto di averci provato. Arrivai a casa incazzata nera e mi chiusi in camera senza uscire nemmeno per cena. Mi guardai allo specchio e mi promisi che un giorno quel viaggio l’avrei fatto. Sarei stata in America con o senza Manuel. Il giorno dopo andai a cercarlo, volevo dirgli che non mi arrendevo e che quel sogno rimaneva con me, con noi, con la nostra strana amicizia. Quando bussai alla porta nessuno si degnò di rispondere. Se n’era andato. Suppongo in America, e da allora non l’ho più rivisto. Odiai mia madre per quello che aveva fatto ma dentro di me non potevo biasimarla. Manuel mi aveva cambiata. In peggio. Questo lo sapevo, di questo ne ero cosciente. Nei pochi mesi che lo avevo frequentato avevo cambiato tutto di me. Modo di vestire, colore dei capelli, trucco, carattere. Tutto mi faceva sembrare una nuova Chris. Una nuova me. Non riesco a dire se all’inizio provavo odio o amore per quella me che vedevo allo specchio. So solo che mi sentivo forte, sicura e che non avevo paura di nessuno. A scuola avevo sempre preso ottimi voti fino ad allora, suonavo il pianoforte da un insegnante privato e mi esibivo in quei concerti pallosi che non hanno mai fine. Dopo l’incontro con Manuel iniziai presto a bere e a fumare. Avevo quindici anni, e questo succede quando hai a che fare con gente sbagliata. Decisi di lasciare stare il pianoforte e capii che la scuola non faceva per me. Io volevo viaggiare, volevo vedere posti nuovi, nuove culture, volevo vivere. Odiavo restare sempre chiusa in casa, odiavo la routine della mia vita. E con l’arrivo di Manuel mi sembrò di vedere la luce, mi sentivo in grado di poter uscire dal tunnel della mia noiosa vita. Da allora vivo così, alla giornata. Ogni volta una cosa nuova. Ho fatto davvero di tutto, dal paracadutismo alla nuotata in mare la sera di Natale. Non ho rimpianti, sono felice di quello che sono, almeno credo. Mia madre è convinta che un giorno io possa ritornare ad essere quella Chris di una volta, la cara e dolce Christina, la biondina con gli occhi azzurri simile a una bambola di porcellana, con la pelle pura e casta. Peccato che i tatuaggi sono per sempre e che non mi separerei mai dai miei capelli rosso fuoco.
-Fai buon viaggio tesoro- Kat mi guardava con quei suoi occhioni verdi ma sapevo che nella sua testa sperava che non mi cacciassi nei guai.
-Si, poche smancerie.- feci per andarmene ma lei mi tirò per un braccio. Sapevo che avrebbe voluto abbracciarmi.
-È la cosa giusta per te Chris. Non voglio che tu soffra, spero ti piacerà restare lì per un po’. E poi è il tuo sogno no? Viaggiare.
-Si, d’accordo.- mi voltai e mi avvicinai al treno. Mi accomodai al mio posto e osservai mia madre dal finestrino. Odiavo essere così acida nei suoi confronti ma era una cosa che mi veniva naturale. Era come se avessi voluto proteggere me stessa, ma questo non lo avrei detto mai a nessuno. Lei credeva che stando per un po’ lontana da casa avrei cambiato qualcosa in me, assurdo. Non vedevo mia nonna da quando avevo circa otto anni e aveva deciso di farmi stare da lei a Londra per tutta l’estate. Come potevo provare amore per una donna cosi? Lei mi voleva cambiare. Ma io non sarei cambiata, per nessuna ragione al mondo. Almeno di questo ero certa.
-Scusi, posso sedermi accanto a lei?- perfetto, uno sconosciuto voleva sedersi accanto a me. Per cosa? Per litigare? Perché la gente voleva sedersi accanto a me? Diavolo.
-Come ti pare- risposi alzando gli occhi al cielo.
-Sta andando a Londra?- domandò sorridendo.
Decisi di non rispondere, misi le cuffie nelle orecchie e alzai il volume al massimo mentre il rock mi rompeva i timpani. La musica anni 80 era il mio brivido, così si dice no? Odiavo profondamente la musica del ventunesimo secolo, quei ragazzi tutto fisico e niente voce, quelle band stupide per tredicenni impazzite. Rividi nella mia testa le scene in cui mia mamma era tipo “La musica finirà per ucciderti” e sorrisi a quel pensiero. La musica, quella seria, era la mia salvezza, da sempre. Guardai fuori dal finestrino e chiusi gli occhi. Londra mi piacerà, ripetei a me stessa. E prima di rendermene conto ero già sprofondata nel sonno.
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Drawing. || Harry Styles
RomanceLa matita scorreva sul foglio e assumeva pian piano una forma sotto i miei occhi. Bianco e nero. Non pensavo quando disegnavo, non lo facevo mai, e mi ricordava lui, in modo indissolubile. Mi allontanava da tutto il peggio che c'era, quanto di piú s...