PROLOGO

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La luce svaniva sempre più in fretta mentre il cielo si scuriva e minacciose nuvole avanzavano all'orizzonte. Un fronte temporalesco avrebbe raffreddato e bagnato ciò che rimaneva in quell'angolo di mondo. La temperatura sarebbe scesa di qualche grado, l'umidità sarebbe salita.

«Tempo ideale per i parassiti», sentenziò amaramente una voce maschile, profonda e quasi ruggente. Un tempo caldo, quel timbro rassicurante si era trasformato in una minaccia ogni volta che riecheggiava tra le mura della nuova magione.

«Come ha detto, signore?» domandò una seconda voce alle sue spalle. Era una voce più anziana e vissuta, ma arrendevole al tempo stesso. Tratteggiava la fisionomia di un uomo in là negli anni, ma che ancora non voleva darla vinta all'evidenza dei fatti e soprattutto non voleva arrendersi con chi, da una vita, aveva seguito e servito.

«Funghi», proseguì la prima voce. «Sono, in definitiva, dei parassiti. E lo dico in senso lato», aggiunse. «Spargono spore ovunque e si insediano, crescono, succhiando linfa vitale alle piante, ma quando arriva qualcuno a calpestarli...» La frase si interruppe stancamente e l'uomo sospirò. Parecchi secondi di silenzio, mentre gli occhi scuri si concentravano in lontananza sulla città che iniziava ad apparire oltre la grande foresta che circondava la tenuta di famiglia.

Dopo che l'incendio aveva quasi raso al suolo il vecchio castello, lui aveva deciso di riedificare la nuova, enorme, sconfinata villa sopra le macerie della vecchia e di espanderla perché avesse una parte che si allungava sul colle che sporgeva verso la città. La sua camera da letto era stata volutamente sistemata in quella direzione. Voleva che appena si svegliasse, appena aprisse gli occhi e tirasse le tende, il suo sguardo indagatore e severo si dirigesse immediatamente verso quel mostro fatto di metallo, cemento, terra e bastardi senza dio che con costante determinazione stava divorando ciò che un tempo c'era di bello e buono.

«Dimmi cosa vedi, Alfred.»

Il vecchio, sospirando a propria volta, scosse il capo e fece qualcosa che raramente il suo padrone l'aveva visto fare: si sedette accanto a lui. Nella tenebra della sera che avanzava, il profilo curvo di Alfred Pennyworth apparve come quello di un gigante decaduto.

«Che cosa vuole che le risponda, signor Wayne?»

Bruce Wayne ignorò la domanda retorica del maggiordomo e tornò a concentrarsi sugli alti palazzi di Gotham che s'innalzavano sopra i bassi edifici della povera periferia che si estendeva a macchia d'olio. «Io ci vedo demoni, Alfred», disse lui. «Entità mefistofeliche dai mille tentacoli che si espandono e inglobano tutto, anche il più fievole raggio di luce, pur di mantenere l'oscurità che avvolge questo posto.»

«Ha letto Lovecraft di recente, signor Wayne?»

Bruce sorrise. «No, Alfred», ribatté. «Mi è sufficiente alzare gli occhi da questo balcone e fissare la città.»

«Le avevo consigliato di mettere la camera da letto verso nord, alle spalle...»

«C'era ancora quando guardavo, qualche anno fa», incalzò Wayne con amarezza.

«Cosa, signore?»

«Un raggio di luce, una speranza.»

«Si riferisce a...»

Bruce scosse il capo. «Il Pipistrello non è mai stato speranza o luce, Alfred. Era solo un simbolo per incutere timore nei nemici, per spingerli a tornare sulla retta via, per costringerli a smettere di distruggere Gotham.» Ci fu una nuova pausa, quindi Bruce mormorò: «La Wayne Tower.»

Alfred lo osservò di profilo senza dire nulla.

«L'eredità di mio padre», spiegò l'altro. «Quello era il raggio di luce. Ora invece... Non credo sia rimasto nulla a Gotham.»

«La torre è sempre là», la indicò Alfred con aria seria.

«Certo, la torre resta dov'è sempre stata, ma tutto il resto? Il Pipistrello? Io stesso? Dove sono tutte le altre cose? E le persone? E i demoni?»

La voce grave ma decisa del maggiordomo giunse alle orecchie di Bruce mentre il vecchio se ne andava. «Ci sarà sempre qualcuno che guarderà a quella torre con speranza. Gli uomini passano, ma i simboli – forse proprio come quella torre, più che il suo Pipistrello, signor Wayne – be', quelli restano per l'eternità.»

I tacchi delle scarpe Oxford in pelle risuonarono sul pavimento della camera e poi nel corridoio, via via sempre più flebili. Ritrovatisi nuovamente solo, Bruce ripensò ai parassiti. Quanti ne aveva schiacciati a Gotham? Quanti gli erano sfuggiti nel tentativo? Quanti non sapeva neppure che esistessero?

Una triste e inconcludente vita, quella del Pipistrello. Aveva perso tanto, forse addirittura qualunque cosa. Poteva lui consolarsi come Bruce Wayne, ignorando tutto il resto?

Ormai era inutile. Quella linea che lui stesso, tanti anni prima aveva tracciato, quel limite da non superare ora era soltanto un ricordo.

«Ho più di cinquant'anni e non ho nulla. Le mie mani sono sempre più sporche e affondano in un fiume di sangue», mormorò a se stesso, amareggiato, gli occhi che s'inumidivano. «Non mi resta che diventare pietra e schiacciare tutto.»

The Runaway ActDove le storie prendono vita. Scoprilo ora