Capitolo 2

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Harvey Bullock, abbandonato sull'ormai usurata poltrona reclinabile della sua scrivania, seguitava a fissare lo schermo del computer che ripeteva ossessivamente un filmato con alcuni tagli che ritraeva un tizio. Le telecamere a circuito chiuso – pessima definizione dell'immagine e dei colori, c'era da dirlo – mostravano un uomo, su per giù tra i quaranta e i cinquanta, a giudicare dall'aspetto e dalla figura leggermente curvata. Il tipo zoppicava un po' sulla gamba sinistra, la silhouette magra e cadente nascosta da un'ampia tuta da addetto delle pulizie. Spingeva un carrello con tanto di scopettone, secchio dell'acqua e cestini per la raccolta differenziata.

Nel taglio successivo, unito dalla ricostruzione della polizia per evitare salti temporali, lo sconosciuto ripreso dalle telecamere si liberava del carrello e avanzava in un corridoio al buio verso alcuni uffici e il più grande laboratorio di ricerche del Dipartimento di Botanica dei Giardini Botanici di Gotham, dopodiché le immagini di ciò che aveva fatto in quelle stanze sparivano. Non era mai stata fornita dai dipendenti del Dipartimento l'autorizzazione per piazzare altre telecamere negli uffici. C'era una cosa – la privacy come la chiamavano – che impediva al Grande Fratello di tenerti d'occhio mentre navigavi su siti porno masturbandoti sotto la scrivania o ti facevi i tuoi porci comodi cazzeggiando senza portare a termine il tuo lavoro. Certo, basta un programma di tracciamento sull'attività dei terminali, ma anche in quel caso la privacy l'aveva vinta sullo Spione.

«Accidenti a voi», borbottò Bullock nella penombra dell'androne semideserto a quell'ora di sera mentre rosicchiava con rabbia lo stecchino tra gli incisivi. «Se ci fossero delle fottute telecamere a ogni fottuto spigolo di muro il lavoro della polizia sarebbe molto più semplice e veloce.»

Poi alle sue spalle risuonò una voce. «Ancora alzato a quest'ora?»

Bullock sbuffò, innervosito. Rialzò appena il capo dalla scrivania dopo aver chiuso tutti i programmi e aver spento lo schermo del computer e si abbandonò contro lo schienale della poltrona.

«I bravi bambini vanno a letto presto, no?»

Quell'irritante tono di superiorità e sarcasmo lo mandava in bestia. «Rodriguez, che diavolo vuoi?»

«Nulla, amico», replicò l'altro con un mezzo sorriso. «Ti va di farti un goccetto?»

Con uno sputo preciso lo stecchino che Bullock teneva tra le labbra finì nel cestino. «Con tutti i mentecatti di questo posto, vuoi proprio che venga io a fare compagnia a una puttanella come te?»

Il collega sghignazzò. «Troppo occupato per una birra da Jimmy o non ti vuoi più mescolare alla comune sbirraglia?»

In un istante, con uno scatto repentino, il metro e novanta per centotrenta chili di Bullock balzò su dalla poltrona e si trovò a sovrastare il più magro collega. «Che cazzo intendi, Rodriguez?»

«Oh, niente», si schernì lui. «Solo che, da quando sei tornato in servizio, pare che tu sia di molta meno compagnia.»

«Ho di meglio da fare, idiota.»

«Hai fatto troppi soldi da privato?» scherzò Rodriguez. «Cos'è, dopo un anno da investigatore, ti sei riempito le tasche e ora la comune birra non piace più?»

Bullock stava fumando dalle orecchie. Sapeva che c'erano colleghi al dipartimento cui non andava a genio. Facevano di tutto per rendergli la vita un inferno.

«Pasteggi a caviale e champagne, amico?» insisté il collega, senza rendersi conto che stava giocando col fuoco. «Oppure qualcuno ti ha... come dire, allungato qualche bel bigliettone? Sai, ho sentito di un certo Falcone...»

Con uno slanciò Bullock afferrò la giacca dell'uomo e lo sbatté contro il muro, ringhiandogli in faccia minacciosamente. «Non so chi ti abbia consigliato di venire a stuzzicare una tigre che riposa, pivello, ma io non considererei quelle persone miei amici, sai? Arriva la volta che speri di trovarteli alle spalle che ti diano manforte e invece ti becchi una bella canna rigata su per il culo e qualcuno dall'altro lato pronto a premere il grilletto. Non so se mi sono spiegato.»

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