Capitolo 11

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La camera era ancora silenziosa, immersa nella penombra e sulla finestra ticchettava la pioggia con il suo sottofondo euritmico a tenerle compagnia.

Harleen lentamente riprese coscienza del proprio corpo. Era tanto debole che neppure riusciva ad alzare le palpebre. Si sentiva stiracchiata e filiforme come uno stelo d'erba assetato in una pozza desertica nella notte fredda.

Si mosse appena e per un attimo fu quasi presa dal panico. Non riusciva ad alzarsi e non poteva coprirsi. Un brivido la scosse. Dopodiché gli occhi pian piano si aprirono e nel buio della camera ricordò dove si trovava anche se ciò che era successo le appariva molto vago e confuso.

«Ti sei svegliata, finalmente.»

Una voce femminile le parlò e lei fece scattare su la testa guardando oltre i piedi prima che un capogiro la facesse ripiombare sulla schiena. Soffocò un conato di vomito.

«È quasi un giorno intero che te ne stai lì.»

Déjà vu. Le parve di ricordare quella scena e fu come se si osservasse dall'esterno, eppure qualcosa era cambiato, ora.

«Pamela...», mormorò con voce debole e fiacca. Si passò la lingua sulle labbra screpolate.

«Ora ti ricordi chi sono?»

Il tono tagliente della donna le parve fuori posto.

«Hai ancora voglia di spezzarmi il collo?»

A quelle parole Harleen spalancò gli occhi, incredula e di nuovo sollevò il capo. Cercò si puntarsi sui gomiti per sollevarsi ma di colpo si rese conto di essere legata mani e piedi al letto. Osservò con curiosità gli stracci tagliati che la imprigionavano per un tempo infinitamente lungo. Li fissò chiedendosi perché mai Pamela l'avesse bloccata in quel modo, quindi sorrise maliziosamente. «Perché questo... giochetto?»

Pam si alzò dalla poltroncina scolorita e si avvicinò al letto, scrutando con intensità la ragazza. Il suo sguardo, dall'alto in basso, la colpiva ma non parve metterla in soggezione. Era sempre la solita pazza Harley Quinn, divertita da quel risvolto apparentemente sadico della situazione.

«Ti va di divertirti ancora come l'altra volta?»

La donna aggrottò la fronte. «Sul serio non ricordi niente?»

L'altra ridacchiò e scosse il capo. «Che cosa dovrei ricordare?» chiese in un sussurro. «So soltanto che sono tremendamente stanca, come se mi fosse passato sopra un rullo compressore: ho i muscoli a pezzi ed è come se fossi fatta di gelatina, ma... Per il resto sto bene. E tu, padroncina, come stai?»

«Non scherzare, Harleen», tagliò corto la donna. «Sul serio non ricordi nulla di ieri notte?»

Di nuovo la giovane scosse il capo.

Pamela s'inginocchiò accanto al letto e le toccò la fronte. «Non scotti più, per fortuna.»

Harleen sorrise, allegra. «Ho una gran sete, però.»

«Con tutto il sudore che il tuo corpo ha buttato fuori!» esclamò.

«Ero malata?» chiese. «Come ho fatto a... ad ammalarmi senza rendermene conto?»

«Vorrei saperlo», concluse Pamela con rassegnazione.

La ragazza allora sorrise. «Ora però sto bene, davvero.»

Pam non replicò.

«Ma ho sete.»

La donna tornò con dell'acqua in un bicchiere e lasciò che Harleen bevesse, ma non le passò neppure per la mente di liberarla subito e di farla scorrazzare per la casa.

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