Capitolo 5

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Dopo aver girato a vuoto per ore attraverso le strette strade di China Town, Bullock infilò l'auto nel parcheggio di un ristorante da due soldi che serviva cibo cinese d'asporto. L'ingresso, illuminato da una tremolante luce cadaverica al neon, mostrava una lunga e alta insegna stretta con ideogrammi e a fianco compariva, con ogni probabilità, la traduzione dal cinese: La Grande Pagoda.

Rimanendo aggrappato al volante della propria Dodge St. Regis, Harvey sbuffò fuori l'ultimo rimasuglio di sigaretta che aveva aspirato dal filtro, quindi abbassò di qualche dito il finestrino e gettò fuori il mozzicone che si perse nella pioggia ticchettante che risuonava sul tettuccio dell'auto.

Non aveva voglia di farsi una scarpinata sotto l'acqua, attraversare il parcheggio, ordinare qualcosa da mettere sotto i denti e poi fuggire di nuovo in auto. Avrebbe fatto la figura del passerotto appena uscito dal nido.

Bullock era stanco e sentiva l'imponente stomaco sotto la camicia che borbottava e implorava per avere cibo. Era a digiuno da quasi un giorno intero e ora il malumore non faceva che aumentare. Tuttavia il piacevole tepore dell'interno della Dodge era decisamente più allettante della pioggia che stava aumentando in quell'istante.

Perso temporaneamente l'interesse per il cibo cinese, gli occhi scuri dell'uomo lasciarono la strada e puntarono il portadocumenti sotto il cruscotto dalla parte del passeggero. Il piedipiatti v'infilò la mano e ne trasse un plico di documenti insieme a qualche altro foglio separato. Mise da parte la documentazione dove campeggiava in alto lo stemma del Gotham City Police Department e si concentrò per l'ennesima volta sull'anonimo plico che aveva tra le mani.

«Fottuto bastardo...», borbottò.

Aprì la cartellina di cartone beige e tornò a leggere cose che già aveva imparato a memoria. Eppure la sua mente non faceva altro che friggere di rabbia all'idea di avere in mano quella breve relazione.

«Come cazzo hai fatto?» domandò a un ascoltatore immaginario, ma che certamente sapeva che avrebbe potuto udirlo. A volte aveva come l'impressione che quel fottuto depravato fosse onnipresente e la cosa lo fece leggermente rabbrividire, ma non tanto quanto l'aver trovato quel plico di fogli nella propria casa, sulla scrivania sotto la finestra socchiusa.

Quando era rientrato, un paio di sere prima dal distretto, non aveva subito notato la cosa. In effetti, in casa non mancava nulla e non c'erano segni di effrazione. Solo quando si era ritirato nello studiolo con una mezza bottiglia di scotch e un bicchiere pieno aveva sentito più freddo del solito. Dopodiché aveva intravisto la luce dei lampioni sulla strada che penetrava dalle tende scostate, la finestra dischiusa che faceva scivolare gelidi spifferi nella stanza e la cartellina con i documenti, proprio al centro della scrivania.

Nessun avvertimento, nessuno scassinatore, nessun attentatore della proprietà privata altrui. Solo un biglietto stampato con su scritto: Gordon ha già i suoi problemi a far rimanere in piedi il dipartimento e per questa faccenda serve uno sbirro da strada altrettanto capace, ma che giochi sporco.

Inutile dire che, appena lette quelle righe, Bullock aveva afferrato la piccola .38 che teneva nella cavigliera e si era guardato attorno, dopodiché aveva acceso le luci dello studiolo e chiuso la finestra. Non c'era nessuno lì dentro con lui. «Fottuto Pipistrello...», aveva ribattuto di fronte ai documenti come se avesse avuto Batman di fronte a sé, ma alla fine la sua curiosità aveva vinto la ritrosia nei confronti di quel vigilante che tanto detestava e si era accomodato sulla poltrona per leggere.

Il giorno successivo aveva chiesto di essere assegnato al caso di Randy Cable e Becky West.

Le foto che si era trovato sotto gli occhi della gola della ragazza, squarciata dai morsi e del tizio decapitato l'avevano quasi spinto a vomitare la miserevole colazione a base di ciambella e caffè nero che aveva ingurgitato solo mezz'ora prima, mentre era in strada verso il dipartimento di polizia.

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