Capitolo 1

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L'unica cosa che riecheggiava nella sua testa era il suono di una voce di donna. Parole confuse cercavano di calmarla, ma l'effetto più grande lo faceva la dose quasi letale di eroina che si era sparata in vena. Un taglio scadente, a giudicare dal tipo che gliel'aveva venduta a un prezzo stracciato. Una pessima idea acquistare droga da un idiota strafatto alla periferia del Robinson Park. Eppure lei se l'era domandato innumerevoli volte: dove andare?

Il tipo aveva fatto un po' di storie, ma alla fine si era convinto a sganciarle una razione extra per uno splendido viaggio di sola andata verso l'oltre mondo, a rincontrare il suo Puddin'. Forse la sua faccia truccata dallo sguardo spiritato e una sbarra di ferro arrugginito che gli schiacciava la gola e lo teneva sollevato contro un tronco di pino erano stati sufficientemente persuasivi. Alla fine però lo sconosciuto, tremando come una signorina, le aveva sganciato tutto ciò che gli rimaneva in tasca, compreso un abbonamento per il cinema che lei aveva pensato bene di stracciare, due siringhe, un mezzo cucchiaio annerito e uno zippo.

Allontanandosi, il tale si era lasciato scappare una confessione inutile: non si prendeva responsabilità per quella porcheria e non avrebbe fatto nulla se lei fosse...

«Levati dai piedi», aveva replicato la ragazza, agitando la sbarra di ferro.

Il tipo, in un secondo si era dileguato.

A quel punto, con un sorriso mesto sulle labbra e gli occhi lucidi, la giovane si era incamminata verso la parte più interna e folta del parco, superando il ponte sul fiumiciattolo e dirigendosi verso il lago ghiacciato. Sentiva un freddo tremendo sotto il leggero giubbetto di pelle e i pantaloncini corti sopra le pesanti calze non la proteggevano per nulla dall'inverno di Gotham, ma lei non smetteva di sorridere e ripensava ai tempi in cui tutto era bello e si sentiva felice.

«Non temere, mio Zuccherino, arriverò presto da te», singhiozzò mentre attraversava a passo di danza il ponte ad arco e discendeva dall'altra parte con una corsetta sui tacchi senza aver paura di scivolare sul ghiaccio e cadere. Rise ancora, sforzandosi di essere allegra, ma sentiva che l'unico modo per essere di nuovo completa sarebbe stata la droga, iniettata in vena dalla siringa di quel buono a nulla che era sgattaiolato via. Quella era il suo passaporto per un paradiso senza più solitudine o sofferenza.

«Perché non c'è il sole?» chiese mentre osservava lo spicchio di luna trasparire dalle nubi del cielo inquinato di Gotham. «Uffa, voglio il sole, come quando c'era il mio Zuccherino!»

Si nascose tra gli alberi, sedendosi su una radice che spuntava dal terreno ai piedi di un grosso salice solitario e scrutò il lago ghiacciato. «Avrei tanto voluto pattinare insieme al mio Zuccherino!» sospirò mentre un brivido le attraversava la schiena. Nulla a che vedere col freddo, le disse una vocina ridanciana dentro la sua testa. La scena dei due che volteggiavano sui pattini si trasformava in un attimo in tragedia quando il ghiaccio sotto di lei si sbriciolava e le acque scure del lago la inghiottivano mentre il suo Puddin' le faceva ciao con la mano e le sorrideva.

Rabbrividì ancora e scosse il capo, mettendo il broncio. «Non succederebbe mai!» esclamò a se stessa, rimproverandosi. «Io lo so!» E, nonostante quelle parole, la vocina le diceva altro.

Infine trasse di tasca l'armamentario che aveva fregato al fattone e scaldò l'eroina sul cucchiaio rovinato dove aveva sciolto un po' di ghiaccio raccolto da una pozzanghera lì accanto.

Vedeva il liquido lattiginoso fare le bollicine sopra il calore della fiamma e istintivamente le venne da sorridere. Dopodiché afferrò una delle due siringhe monouso, liberandola dalla confezione di plastica, incastrò il cappuccio tra i denti e liberò l'ago prima di aspirare con lo stantuffo tutta l'eroina. A quel punto sbuffò, delusa.

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