Capitolo 8

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La voce non aveva fatto che parlare. Da quando Pamela era uscita dall'appartamento, la voce aveva ripreso il suo lungo e interminabile monologo. Dentro la sua testa, Harleen la udiva e nonostante la supplicasse di andarsene, la voce la ignorava, rideva come in preda alla follia e continuava a parlare.

Per i primi minuti lei aveva finto che la voce non ci fosse, aveva perfino preso a canticchiare per ascoltare se stessa piuttosto che una stronza immaginaria che le parlava dell'inferno e del paradiso, poi Hugo era saltato sul letto per farle le feste senza più riprendere e alla fine era sgattaiolato sotto le coperte con lei e aveva preso a leccarla allegramente mentre lei gli grattava la pancia.

«Ha detto che tornerà, vero?» domandò di nuovo al bastardino che la fissava con grandi occhi liquidi e neri. «Se Pam dice una cosa, la fa sempre! Non racconta bugie!»

La voce sghignazzò ancora più forte. Parve che l'intera stanza vibrasse di quella risata maligna. E Harleen sembrò capire cosa significasse.

«Lei mi vuole davvero bene», proseguì la ragazza. «Non mi lascerebbe mai, vero Hugo?»

Il cane uggiolò.

«Se ha detto che tornerà, allora dobbiamo stare ad aspettarla e poi... Be', le prepareremo una sorpresa! Ti va di fare una sorpresa a Pam, Hugo?»

Sollevando il muso, il bastardino leccò la faccia di Harleen.

La giovane sorrise tristemente con gli occhi pieni di lacrime e si scostò il ciuffo ramato dal viso. «Vero che tornerà?»

Più i minuti passavano, più il vecchio appartamento pareva farsi più stretto, freddo e silenzioso. Harleen ebbe l'impressione di soffocare. Come avrebbe potuto resistere ancora? Se lo domandò più volte continuando nervosamente a scrutare la sveglia sul comodino. La luce dei lampioni che penetrava dalla finestra ne illuminava le lancette e per diverse volte la giovane afferrò la scatoletta di plastica e se la tenne contro l'orecchio per controllare che non fosse gusta.

La voce ancora ridacchiava, divertita.

«Pam mi vuole bene», cominciò a singhiozzare a quel punto. «Lei ha detto che mi ama... Lei... Lei non mi lascerà... Lei... Lei...»

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, ma quelle continuavano a scendere. Si sentì trapassare da lame lungo tutto il corpo e il dolore al petto si fece ancora più intenso. L'aria scivolava via, le scorreva tutt'intorno ma sembrava non voler scendere nei polmoni.

Infine i sussulti si trasformarono ben presto in un pianto disperato che le mozzò il fiato. Si nascose sotto le coperte come una bimba spaventata e abbracciò Hugo che guaì.

«Lei tornerà... Lei tornerà... Lei tornerà...», ripeteva a voce sempre più bassa finché il suo lamento non si estinse.

Di nuovo la casa ripiombò nel silenzio e i rumori che venivano da fuori, le poche auto che transitavano sulla strada, qualche goccia di nevischio che ticchettava sulla finestra, delle sirene, un urlo, cani che abbaiavano, un gatto che miagolava, il clacson di un furgone, stavano trasformando tutto in un incubo di dolore e solitudine da cui Harleen volle svegliarsi subito o... Addormentarsi per sempre.

Febbrilmente il suo cervello prese a macchinare. Ora non pensava più a Pamela che era uscita e l'aveva abbandonata mentre la voce nella sua mente se la rideva come un bulletto di fronte alla bambina della classe che era rimasta orfana. In quel momento tutto ciò che ronzava nella mente di Harleen era un'altra dose.

«Ne avevo ancora, no?» chiese a se stessa. «Me n'era rimasta altra per un bel viaggetto. Potrei... Be', se mi ricordassi dov'è...»

Da dopo il Robinson Park tutto era diventato confuso. Quando si era sparata in vena la roba che quel tale le aveva venduto, il mondo si era oscurato e diversi giorni dopo si era risvegliata lì dentro, in compagnia di Pamela. Di nuovo.

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