Capitolo 3

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«Fa freddo, cazzo!» imprecò la ragazza, guardandosi attorno. Le luminarie su Dillon Avenue si stavano spegnendo pian piano mentre i vari esercizi commerciali chiudevano. L'unico locale a rimanere aperto era la pizzeria di un indiano giù all'angolo dell'isolato.

«Su, Becky», insisté il tipo. «Non fare la capricciosa.»

«Cab, fa un cazzo di freddo e mi si stanno gelando le chiappe!» imprecò di nuovo. «Voglio la mia dannatissima dose, fottuto spilorcio! I soldi te li ho portati, no?» ringhiò la ragazza battendo i denti e stringendosi addosso il succinto giubbetto di pelo che terminava poco sopra la vita. Una corta minigonna e pesanti calze nere ne delineavano la figura magra e quasi sensuale. I tacchi alti su un paio di décolleté finto L'Autre Chose con un plateau altrettanto vertiginoso la rialzavano di un po' di centimetri rispetto al suo scarso metro e sessantacinque.

Cab la osservò da diverse angolature mostrando i denti ingialliti dal fumo del crack, quindi le fece l'occhiolino.

«Che vuoi?»

«Oh, sai cosa devi fare, no?» si schernì lui. «Pagamento in ritardo, cocca!» spiegò. «Mancano gli interessi, quindi i casi sono due: o mi paghi ciò che mi devi da due settimane e te ne vai via a bocca asciutta, oppure la bocca te la riempio pure io e ti faccio anche un regalino extra. Una cosa nuova che mi ha mandato da poco un amico di fuori città, che te ne pare? Roba dal nome erotico chiamata "Furia", che ti manda fuori di testa, credimi! Non è da prendere alla leggere, ma ti fa volare in alto!»

«Sei un fottuto aguzzino, Cab!» esclamò lei, mostrandole un ghigno eppure non se ne andò. Rimase lì, impalata, grattandosi il braccio e pestando i tacchi alti sul marciapiede gelato. «Perché diavolo mi fai questo?» quasi singhiozzò Becky. «Ve ne approfittate sempre tutti di una...»

«Non venire a raccontarmi la storia della brava ragazza, Becky, fammi il favore!» sbottò l'uomo. «Sei una cazzo di puttana tossica ed è un miracolo che tu sia ancora sulle strade di Gotham City, perciò fammi davvero il fottuto favore! O mi dai ciò che mi spetta, oppure alza i tacchi e smamma, tesoro!»

Dopo qualche secondo, Becky supplicò: «Ho troppa... troppa voglia di farmi, Cab! Non posso andarmene.»

Lui le sorrise ancora e cingendole le spalle con un braccio la accompagnò nel vicolo alle loro spalle.

Becky, con fare docile, seguì il proprio aguzzino. Lo intravide nella penombra mentre si appoggiava al muro di mattoni sbreccati dietro un cassonetto e si slacciava la patta dei pantaloni.

«Su, tesoro», la esortò. «Basta poco, no?»

Lei non riuscì e non volle tirarsi indietro. Il richiamo della droga era troppo forte. Non voleva stare male come l'ultima volta. Desiderava soltanto che quel dolore che le stritolava le giunture, tutto quel freddo svanissero in fretta. L'unica speranza era tornare a casa e dimenticare tutto, ma la droga...

Aprì leggermente le gambe e s'inginocchiò barcollando sui tacchi alti, quindi sentì entrambe le mani che le afferravano la testa. Con un misto di vergogna e disgusto volse appena lo sguardo in alto verso Cab. I suoi occhi supplichevoli lo imploravano di risparmiarla, ma lui fu implacabile. Sorrise ancora e spinse il viso di Becky verso la patta abbassata dei pantaloni.

«Lo senti, tesoro?» domandò. «È lì che ti aspetta», le disse. «Ora toglilo dalla sua tana e poi spalanca quella tua bella boccuccia.»

Titubante, la ragazza fece come le era stato detto e infine il suo sguardo raccapricciato si fissò sul pene eretto di Cab, un mostro pulsante e venoso che ondeggiava su e giù con i battiti accelerati del cuore di quel bastardo.

«Ora, da brava, non farmi pentire di aver aspettato tanto a lungo», si lagnò Cab.

Becky chiuse gli occhi, in fretta, aprì la bocca e subito sentì affondarle nella gola qualcosa di duro e carnoso, puzzolente e spietato che la stava soffocando. In ogni modo tentò di tirarsi indietro, di spingere via quella porcheria, ma Cab era troppo forte e le stava sopra agitando avanti e indietro i fianchi.

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