Se pensavo che stare da soli nella mia auto fosse la parte più difficile da superare era solo perché non avevo messo in conto l’imbarazzo di stare seduti uno di fronte all’altro in un caffè sperduto del Connemara dove ci siamo solo noi due e la proprietaria, che è sparita da cinque minuti buoni per preparare le nostre colazioni. Per fortuna il caffè ci è stato già servito, così abbiamo entrambi un diversivo. Siamo stati in macchina da soli altre volte – pochissime, ma ci sono state – e anche a tavola, da soli, una volta, a casa sua. Per il resto abbiamo condiviso pochi momenti esclusivi ed erano quasi tutti in posizione orizzontale o verticale o anche perpendicolare, ma non credo sia questo il momento adatto per pensarci. La proprietaria torna da noi con i nostri piatti, ce li mette sotto al naso e poi ci sorride gentile, mentre entrambi la ringraziamo . Andy prende le posate e inizia a tagliare le sue salsicce e il suo bacon e mi sembra ancora più a disagio di prima. “Non lo fai spesso.”“Mmm?”“Mangiare fuori.”
“Non direi.”“Be’, in fondo è solo una colazione.”Infilo la forchetta nelle mie uova strapazzate e le porto alla bocca. “Lo sai anche tu che non lo è.”“Ah no?”“Non è solo una colazione.”Non mi guarda ovviamente, tiene gli occhi sul piatto. “E cos’è, allora?”“Uno sbaglio.”Non so se a far male sia la parola che ha usato o il modo in cui ha trattenuto il fiato mentre la pronunciava. “E perché lo stiamo facendo?”“Mi è costato”dice stringendo forte le posate tra le dita. “Non vederti questi giorni.”So che sta facendo uno sforzo enorme ma non posso rendergli sempre le cose facili, quindi stavolta attaccherò e ci andrò giù pesante. “Lo hai voluto tu. Sei tu che non ti sei fatto trovare.”Annuisce lentamente. “Io c’ero, come ci sono sempre stato.”Non basta, merita di sentirselo dire. “Ho fatto quello che mi hai chiesto, sono tornato, anche quando non volevo, anche quando tornare voleva dire continuare a mentire. L’ho fatto perché me lo hai chiesto tu.”La sua mascella si contrae. “Forse non avresti dovuto ascoltarmi.”Il mio stomaco anche. “E me lo dici adesso?”“Non lo so cosa sto dicendo.”“E allora smettila di sparare cazzate.”Alzo involontariamente la voce tanto che la proprietaria del locale solleva la testa da dietro il bancone. “Stiamo attirando attenzione”Andy mi fa notare. “Siamo la sua unica attenzione.”Bevo un paio di sorsi di caffè ancora bollente e poso la tazza sul tavolino, faccio per riprendere le posate ma la sua mano mi blocca, costringendomi ad abbandonare la mia sul tavolo. “Non è stato facile”dice fissando la sua mano sulla mia. “Di che parli?”“Costringermi a non essere al locale.”“Ma lo hai fatto.”“L’ho fatto”mi guarda appena, “ma non ha aiutato.”Non riesco a nascondere la mia soddisfazione e lui se ne accorge. “Non dovresti andarne così fiero.”“Lo so io cosa mi rende fiero e cosa no.”“Ti piace vedermi soffrire?”“Perché, stai soffrendo?”Gli chiedo ansioso, so che da qualche parte sotto tutta quella armatura che si porta dietro c’è qualcosa che batte.
Mi lancia un’occhiataccia ma non mi risponde, piano lascia andare la mia mano lasciandomi addosso la sensazione che stia scivolando via di nuovo. Poggia la schiena alla sedia e rivolge lo sguardo verso l’esterno. Questa cosa non ci porterà da nessuna parte, né oggi né in futuro. Forse Andy ha proprio ragione, siamo noi due insieme il vero sbaglio. “Perché questa colazione?”Gli chiedo di getto. “Che senso ha?”“Niente di quello che faccio che riguarda te ha un senso.”Non so se prendere la sua affermazione in modo positivo. “Non ne ho fatta una giusta.”“Se ti può consolare neanch’io.”Si volta di nuovo verso di me. “Come portare una donna a casa?”Lo sapevo che saremmo andati a finire lì. “Non è quello che pensi. E poi, non avevi detto che non hai il diritto di farmi domande su quella notte?”Il suo sguardo si fa cupo. “L’ho detto. E non lo pensavo. Voglio farti tutte le cazzo di domande che mi pare.”La sua voce mi attraversa lo stomaco. “E voglio tutte le risposte.”“Siamo qui per questo?”Respira a fondo e poi rilascia piano il fiato. “Siamo qui perché non ce la faccio. Non ce la faccio se non ti vedo. E non ce la faccio se ti vedo. E non ce la faccio se non ti tocco”allunga la mano di nuovo sul tavolo e io l’afferro d’istinto. “E non ce la faccio se ti tocco.”“Andy…”“Non posso darti altro”m’interrompe subito. “Ma se potessi…”Stringo forte le sue dita, non voglio sentire una parola di più. “Avevi ragione. Quando hai detto che non siamo amici.”Tengo lo sguardo inchiodato su di lui anche se lui non ce l’ha su di me. “Ma lo sono di Reid e Brian è tuo amico. E poi c’è Brennan ed Ellie.”Non dirlo, ti prego, non continuare. “Non potrei affrontarlo.”Solleva piano gli occhi e sono così spauriti e sinceri che non posso neanche avercela con lui per quello che mi sta dicendo. “E poi viviamo a Letterfrack.”Annuisco lentamente anche se vorrei prenderlo per le spalle e scuoterlo fino a quando non la smetterà di dire cazzate. “E poi c’è tuo padre e l’azienda…”Respira, non lo aveva fatto da quando ha iniziato a parlare. “Ma non ce la faccio. E non è da me non farcela a fare qualcosa.”“Andy…”“Lo capisci, vero? Non c’è futuro.”Vorrei dirgli che non ho mai pensato di averne uno in ogni caso, ma non so se è quello che ha bisogno di sentirsi dire adesso. “Io non lo cerco, non l’ho mai cercato, ma tu…”Si passa l’altra mano tra i capelli. “Tu mi fai sperare di poterlo avere.”“Perché mi stai dicendo queste cose adesso, se solo qualche giorno fa mi hai pregato di farti smettere. Non capisco…”“Perché non ce la faccio.”“Questo lo hai già detto.”Scuote la testa. “Non ce la faccio a passare un altro giorno senza poterti avere almeno un’altra volta.”
STAI LEGGENDO
The First Man
RandomShane Sapete cosa vuol dire vivere come vivo io? Essere costretto a non guardarlo, non toccarlo, non restare da solo con lui nella stessa stanza. Non cercarlo, non volerlo. Non amarlo. Sapete cosa vuol dire fingere per tutta la vita di essere un a...