30 Shane

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Alla fine abbiamo optato per un drink sul tardi, non me la sentivo di andare fuori a cena, mi sembrava troppo per un primo appuntamento, perché Owen non ha perso tempo, lo ha detto chiaramente: è un appuntamento e non voleva ci fossero dubbi. L’ho chiamato io, sì, e non dovreste neanche chiedervi perché. Owen mi ha lasciato il suo numero dopo il pranzo insieme, ci ho pensato su quattro giorni e poi l’ho fatto, l’ho chiamato. Lui era sorpreso, probabilmente non se lo aspettava più, ma era felice di sentirmi, tanto da far sentire per qualche istante felice anche me. Mi ha proposto subito di uscire e all’inizio gli ho detto che andava bene, ma poi oggi pomeriggio, preso dal panico, gli ho detto che non sapevo se ce l’avrei fatta, che dovevo lavorare fino a tardi e lui mi ha chiamato subito per tranquillizzarmi, per dirmi che se non me la sentivo potevamo optare per qualcosa di meno impegnativo, un drink e una chiacchierata, ma che lo avrebbe comunque considerato come un primo appuntamento. Mi ha fatto sorridere, la sua sincerità e la sua spontaneità sono da ammirare e non sono sicuro che siano dovute solo alla giovane età, io non ero così neanche a vent’anni, forse perché a quell’epoca soffrivo già come soffro adesso per la stessa persona. Voi direte che sono stato un illuso a crederci e fareste bene, anche se a essere sincero, non ci ho mai davvero creduto. Ho sempre saputo che sarebbe finita in questo modo ma sapete come funzionano i vizi, come la mente umana li percepisce e li reclama, e più sai che ti faranno male più senti di non poterne fare a meno. Ha insistito per venire a Letterfrack a prendermi, voleva fare le cose per bene. Ero scettico al riguardo, meglio non dare nell’occhio, ma Reid non c’è, Ellie neanche, mio padre aveva uno dei suoi poker e io ero solo quindi ho lasciato che venisse a prendermi a casa. Casa, ora, non esageriamo, mi sono fatto trovare in strada e sono salito sulla sua auto in tutta fretta non appena ha accostato. Ha riso ma non ha detto nulla, si vede che è da un po’che non si nasconde più ma che capisce benissimo come ci si sente. Mi ha portato al McHales, un bar che si trova al piano terra del Raheen Woods, un albergo della cittadina di Athenry, a circa venti miglia da Galway. Mi ha detto che qui ci sono solo turisti e gente di passaggio, deve aver intuito il mio problema con me stesso anche se non ha fatto domande e io non gli ho detto come stanno le cose. Deve essere un tipo perspicace. “So a cosa stai pensando”mi dice all’improvviso quando il cameriere si allontana. “Ma non è così, non ho di quelle intenzioni.”“Ti riferisci al fatto che siamo in un albergo?”Sorride. “Forse ho scelto il posto sbagliato, ma volevo ti sentissi a tuo agio.”Annuisco lentamente facendo scivolare un dito intorno al bordo del mio bicchiere. “Non volevo che fossi preoccupato di essere visto con me da qualcuno che conosci.”“Come sai che è così?”“Andiamo, sei teso e guardingo e l’altro giorno non facevi che guardarti le spalle per paura di essere visto.”“Non sei tu il problema.”“Lo so, ho capito.”“Non immagini quanto sia complicato.”“Vivi in un village, ti conoscono tutti, la tua famiglia è ovunque.”Sorrido. “Più o meno.”“Va bene, non devi spiegarmi nulla.”“Grazie.”“E di che?”“Di tutto.”Alza il suo bicchiere e lo protende verso di me, prendo anche io il mio e lo faccio tintinnare contro il suo. “Ai nuovi incontri”dice. Entrambi beviamo qualche sorso e poi ci sorridiamo un po’in imbarazzo, ma è di quell’imbarazzo degli inizi, delle emozioni sane, della piacevole compagnia. Quello che ti fa stare bene. E così comincio a rilassarmi e a sentirmi di nuovo una persona capace di provare qualcosa di diverso dal tormento o dal dolore.     Owen ha bevuto solo un drink, io qualcuno di troppo, sicuro del fatto di non dover guidare. Ho capito poco di questa serata, ero impegnato a concentrarmi sul non paragonare ogni dettaglio di Owen con quelli di qualcun altro, a concentrarmi sul suono morbido della sua voce e a non ricordare la sua così dura e penetrante. Ero impegnato a non chiudere gli occhi e immaginare che la mano che mi ha sfiorato più di una volta sul tavolo fosse quella di qualcuno che non è abituato a sfiorare nessuno neanche per errore. “Sono stato bene”mi dice in macchina, tenendo gli occhi sulla strada. “Anch’io”e un po’mento, perché non posso nascondere che avrei voluto trascorrere questa serata con qualcun altro. “Mi piacerebbe che ce ne fossero altre”la sua mano scivola sulla mia gamba lentamente. La guardo e poi guardo il suo profilo, la barba appena visibile, i lineamenti dolci e un sorriso trattenuto a stento. Tutti particolari che potrebbero piacermi se non fossi cresciuto con questo peso sul petto. Non gli rispondo, guardo fuori dal finestrino mentre la sua mano resta sulla mia coscia, una lieve pressione, un tocco delicato, molto diverso da quelli a cui sono abituato, qualcosa che dovrebbe essere piacevole, che dovrebbe essere sana, giusta, perché è fatta con l’intento di far star bene l’altro. Eppure su di me non ha nessun effetto, mi è totalmente indifferente, estraneo, come tutto quello che non viene direttamente da lui.     Spegne il motore circa cento metri prima di casa mia. Non lo ha fatto perché non voleva essere visto, lo ha fatto perché gliel’ho chiesto io. A quanto pare i ruoli si stanno invertendo, sono diventato io il bastardo che si nasconde e che non vuole essere visto insieme a qualcun altro. “Sano e salvo.”“Questo perché tu sei stato così saggio da non bere.”“Sono abituato a bere poco, sono sempre alla guida.”“Io invece sono sempre qui e poi sguazzo in mezzo all’alcol dalla mattina alla sera, è un miracolo se arrivo al letto sulle mie gambe.”Ride e mi guarda. “Mi piaci, Shane Johnston.”Lo guardo anch’io ma non posso dirgli la stessa cosa, quindi mi limito a sorridergli sperando di non offenderlo. Owen fissa le mie labbra, poi si sposta di nuovo sui miei occhi e prima che possa registrare i suoi movimenti, la sua mano calda scivola dietro la mia nuca, avvicinandomi alla sua bocca. Preme sulla mia delicatamente e io trattengo il respiro per paura di mescolare il mio al suo, per paura di dare qualcosa di me a qualcun altro, qualcosa che appartiene a un solo uomo e che non potrò mai riavere indietro. Owen mi bacia e io mi lascio baciare, perché sono talmente paralizzato da questa consapevolezza che non ho neanche la forza di allontanarmi. Sono terrorizzato dal dolore che provo nel permettere a qualcuno che non sia lui di baciarmi, dall’angoscia che sento stringermi il petto al pensiero che Owen mi sta accarezzando, sta accarezzando un viso che non sarà mai suo. E sono annientato dalla forza che questo sentimento sbagliato che provo riesce ad avere su di me, sulla mia mente, sui miei pensieri, sui miei intenti e sul mio corpo. Non reagisco, lascio che queste sensazioni mi percorrano lentamente attraverso le vene e che mi riducano a uno stato emotivamente vegetativo. Owen si stacca da me lentamente mordendosi il labbro, io mi concedo di prendere un breve respiro ora che sono abbastanza lontano da lui. “Buonanotte”riesco a dire miracolosamente, prima di aprire lo sportello e cadere quasi sull’erba. Tento di stare in piedi mentre percorro i metri che mi separano dal viale che porta alle abitazioni, ma non riesco ad arrivare fino alla mia. Succede prima, molto prima. Le ginocchia si piegano e io mi accascio piano sulla ghiaia. E ci resto per un po’lì in ginocchio, al buio, in compagnia della campagna che mi circonda e dei miei singhiozzi. Eh sì, anche gli uomini piangono e non lo fanno discretamente, soprattutto quando arrivano a capire, quando affondando con le mani nella verità, quando si rendono conto di non avere più scampo. E io non l’ho mai avuto. E dovevo immaginarlo, da quella prima volta, da quel primo bacio quasi rubato, da come il mio corpo aveva reagito alla sua bocca e da come il petto aveva reagito invece al suo provvidenziale rifiuto. Dovevo capirlo allora o la volta dopo o quella ancora seguente, o dovevo capirlo quelle volte in cui ho cercato di baciare un altro uomo. Era da tanto che non ci provavo, che non baciavo un uomo che non fosse lui, e ora ne capisco il motivo e capisco anche che non ho alcuna intenzione di rifarlo.

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