Infilo la chiave nella serratura e do un paio di spallate alla porta per farla spalancare, poi la richiudo spingendo contro il legno con il palmo e inserisco il chiavistello. Getto le chiavi sul tavolo, mi sfilo la giacca, la butto su una sedia e poi elimino le scarpe abbandonandole sul pavimento del salotto. Mi lascio cadere sul divano esausto e chiudo gli occhi per qualche secondo o forse per qualche ora, perché dopo la giornata appena trascorsa non so se ho la forza di arrivare fino alla camera da letto, ma poi mi ricordo che Shane non è venuto e li riapro lentamente. Incrocio le braccia dietro la testa e resto a fissare il soffitto rassegnato a un’altra notte insonne, in cui impiegherò il tempo sprofondando nel mio tormento preferito: ripercorrere con la mente ogni momento trascorso insieme. E a questo punto qualcuno penserebbe che sono un coglione e lo farebbe con cognizione di causa, che dovrei alzare il culo e prendere il telefono per chiamarlo o magari impazzire del tutto, afferrare le chiavi dell’auto e guidare in piena notte fino a casa sua, bussare alla porta, dirgli che ho sbagliato e chiedergli di ridarmi quello che avevamo. Non sono mai stato a casa sua, so dove abita, l’ho accompagnato lì tante volte, ma non ho mai messo piede all’interno. Non ho voluto. Vedere il posto in cui vive non avrebbe aiutato, sapere dove immaginarlo quando siamo lontani mi avrebbe distrutto. Lui è stato qui però, da ragazzo tantissime volte, da adulto un po’meno. A parte il fatto che Brian e io viviamo insieme e che vederci qui sarebbe stato rischioso, non mi piaceva che vedesse dove vivo e soprattutto come vivo. Non mi vergogno di quello che sono, ma lui è diverso, la sua vita lo è e vederlo nella mia non faceva che alimentare i miei già innumerevoli dubbi e per averlo come lo volevo, avevo bisogno di metterli a tacere. E non era stato facile, dopo che se n’era andato, rimettere le cose a posto. Perché quando Shane decide di entrare nella mia vita lo fa e basta, non chiede e non attende il mio consenso. E quando succede non lascia nulla d’intentato. E quando se ne va niente torna al suo stato originario. Non era facile, dopo, guardare il mio letto vuoto. Non era facile, dopo, guardarmi allo specchio e riconoscere l’uomo che ero prima di lui. Averlo per casa quando era un ragazzino era normale, lui e Brian erano compagni di scuola, erano amici; credo che Shane sia stato il suo unico amico per molti anni. Non eravamo una famiglia ben vista, non eravamo dei ragazzi raccomandabili, non eravamo persone con cui i genitori volevano vedere i loro figli. A volte un cognome sbagliato vuol dire tutto. A volte ciò che sono i tuoi genitori significa molto di più di ciò che sei tu. Ero grato del fatto che Brian non fosse solo come lo ero stato io, ero grato a Shane per essere quello che era per lui, per la sua presenza, per quell’allegria che portava con sé quando era da noi. Spesso si fermava a dormire anche la notte, proprio come quella in cui tutto è iniziato. Io ero già un uomo e non solo per un fatto anagrafico. Avevo 21 anni, un fratello minore da tenere fuori dai guai, una casa da salvare dai debiti e un locale da mantenere in piedi. Non avevo tempo per le cazzate, per le uscite, per gli amici o per trovarmi qualcuno con cui trascorrere del tempo e mi risultava sempre più difficile allontanarmi dalla cittadina e andare in uno di quei locali in cerca della compagnia di una sera. Ero stanco, frustrato, preoccupato e terribilmente solo. E lui era lì, con la sua aria spavalda che serviva a mascherare i suoi dubbi, con quegli occhi ardenti e con le mani incerte di uno che non sa ancora come si fa a toccare un uomo. E io non avrei dovuto cedere quella prima volta, né la seconda, né la terza, né quelle a seguire. Ero io l’uomo, ero io a dovermi tirare indietro. Come diavolo si fa a resistere a Shane Johnston? A quella faccia da schiaffi e a quegli occhi da furbo manipolatore. A quelle mani e alla sua bocca, a quel corpo che si adatta così bene al mio, al suo modo di parlare, di guardare te e di guardare il mondo. Al suo maledetto buonumore, al modo in cui ride, alla sua voglia di vivere. Come si fa a non volerci stare per un po’nella vita di Shane Johnston e come si fa a uscirne, una volta che ti sei abituato al suo respiro. Non l’ho fatto, non ho resistito. Ho lasciato lui scivolare nella mia vita e tornare tutte le volte che voleva. Perché è lui a dettare le regole del gioco, avete pensato davvero che fossi io? Ma mi avete guardato bene? Io non ho alcun potere su di lui e su di me, nonostante le cazzate che sparo, nonostante le volte in cui gli dico che non dovrà accadere ancora, nonostante le volte in cui ho finto di rifiutarlo solo per poterlo avere di più. È lui a decidere quando mi vuole, dove e come e per quanto tempo. È lui a decidere di tornare ogni giorno. Ed è stato lui a decidere di non farlo oggi. Non ho alcun potere su Shane come non ce l’ho su me stesso dal momento in cui ho lasciato che avesse me come nessuno prima di lui mi aveva avuto mai.
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The First Man
RandomShane Sapete cosa vuol dire vivere come vivo io? Essere costretto a non guardarlo, non toccarlo, non restare da solo con lui nella stessa stanza. Non cercarlo, non volerlo. Non amarlo. Sapete cosa vuol dire fingere per tutta la vita di essere un a...