°Capitolo 31•

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°Vendetta•

La vendetta va servita su un piatto d'argento, freddo. Ma bisogna, in modo paradossale, aspettare ed attendere il luogo, il tempo, il sentimento corretto. Esatto, il sentimento. Quando desideriamo vendicarci, inizialmente proviamo quell'odio costante, quasi perpetuo, che porta all'elaborazione del piano; poi inizi a dubitare della tua sanità mentale, perché sì, la vendetta rientra in uno di quei casi criminali, di cui tra l'altro avevo già il patentino. Ma poi giunge una fase, quella fase, che io nomino sempre come fase rindondante.
Perché, vi starete chiedendo? Perché, a qualsiasi ora del giorno, ad ogni singola occasione, appena vedi quella persona, la vedi immediatamente uccisa, fuori. Sta camminando? Allora immagini che possa inciampare e rompersi l'osso del collo; sta mangiando? Allora che si possa affogare con il cibo. Iniziano a tormentarti queste visioni che, infine, portano alla situazione in cui l'io tende ad una parte demoniaca, e prende il sopravvento su tutto. Ed è per questo che io e la vendetta diventiamo una cosa unica, enfatica.
Io non credo che abbiate mai provato vendetta, non almeno nel suo significato più profondo, non avete mai sentito la sensazione del sangue che si stesse colorando di nero, come se un pittore avesse tagliato le nostre vene e spruzzato dentro esse l'inchiostro del suo dipinto più insoddisfacente. A quel punto da quelle vene intrise di inchiostro nasce un disegno, che ogni secondo tende verso la perversione perfetta, finché non ti rendi conto che forse quell'individuo non si merito una morte così. Non merita una morte così lenta.
Allora aspetti, come già detto, il momento perfetto, che avrà sempre quella nota di riservatezza e merda bruciata.
Era passato quasi un mese da quello che il pazzo aveva fatto a Taehyung, quasi un mese in cui quest'ultimo aveva avuto periodi alti e bassi. Ricordo  vivamente quella notte in cui si era alzato in piedi, si era accostato davanti al muro e aveva iniziato a dire che aveva bisogno di un colore diverso dal nero, perché quest'ultimo gli faceva ricordare gli occhi color del petrolio che tanto odiava. Persino Jungkook aveva cambiato colore di capelli, si era tinto di un bel marrone per potersi avvicinare a Tae. Jungkook, ah!
Rinchiuso, abbandonato, incatenato, marchiato. Ammanettato, era stato chiuso per ben una settimana in una piccola stanza, dove ogni giorno urlava e si dimenava finché Bambam gli sbatteva sulla testa il manico del fucile. Durante questo mese, molte cose erano cambiate.
Jungkook e Taehyung erano più uniti che mai, c'era voluto tempo prima che il secondo si rapportasse con Kook, ma quando si sono abbracciati era come se tutta la materia spaziale si fosse concentrata dentro le loro figure. Era uno spettacolo da vedere. Jimin aveva imparato ad usare l'arco, era agile, veloce, gli donava. Jin e Namjoon si era finalmente dichiarati, e il non-più-viola aveva seguito lezioni di difesa. La maggior parte di noi aveva cambiato colore di capelli, forse perché colori troppo vistosi attiravano l'attenzione di cazzuti, anzi cazzutissimi, idioti con il cazzo. Hoseok, lui mi stava simpatico, sempre di più, il ché è strano, dato la persona. Mi spiegava sempre cose nuove, cose a cui non avevo fatto caso, mi spiegava ad esempio che esperimenti si potevano fare su corpi umani; come funziona il processo di trasformazione in zombie. E poi mi aveva parlato di una cosa, che ho promesso di non dire a nessuno, neanche a me stesso, fin quando lui non sia sicuro del passo da compiere.
E poi, poi c'ero io, Yoongi, quello con i capelli azzurri, ora marroni. Ero cambiato? No, io no. E non sto fingendo di non essere colpito da ciò che era successo, non è facile ignorare la tua anima che bussa nelle porte degli occhi, quando ti specchi. Semplicemente avevo cambiato aspetto esteriore, ma ero rimasto lo stesso stronzo con un cazzo di mezzo cuore che camminava e si schiantava. E portavo, però, un fardello che era diventato l'unico a cui fare appello ogni giorno.
"Non possiamo farlo" si tirò indietro Jimin, portando la mano sulla sua bruciatura. Billie aveva insistito per darci un suo regalo, dopo la notte con Tae: aveva fatto sì che sulla nostre carni vi fossero l'incisioni a caldo di una 'X' poco sotto la spalla.
"So che sei spaventato, vorrei capirlo, ma sono incazzato. Sono incazzato da mesi, sono stanco di questo posto, di lui, di noi, Jimin. Io e te, eravamo liberi di scegliere, di scopare, di scappare, e guardaci, sembriamo pedine di un pazzo maniaco sessuale ciclato. Ti senti a casa?" chiesi, tranquillo, perché con Jimin non potevo arrabbiarmi, ma non lo avrei aspettato.
"Io sono a casa dove ci sei tu, dove ci sono loro. Per me casa è quel cazzo di campo, cazzo, è diventato casa anche Hobi" buttò a terra il suo arco, portando entrambe le mani tra i capelli.
"Allora fallo, Jim, senza pensarci. Potrebbe finire male, o potrebbe finire 'sta merda"
"Che devo fare?"

Imprevisto, avete presente? Quello che rovina un appuntamento, un incontro, un progetto, una vendetta. Ma noi siamo bastardi fortunati, con un cazzo di culo stile Bronzi di Riace.
"ZOMBIE AD OVEST! RIPETO ZOMBIE AD OVEST!" urlò Bam dall'alto, affacciato dal balcone. Guardai gli altri con odio, rassegnazione, perché ancora una volta avremmo dovuto rimandare la nostra vendetta.
"Facciamolo. Facciamolo insieme, Yoon. Prendiamo in mano la situazione, creiamo qualcosa di più tetro, di più soddisfacente, e lo sai perché sarà più - come dire - interessante? Perché lo progetteremo insieme, e tutto il nostro odio si conforma in un unico disegno" esclamò Jin, portando la sua pistola davanti il suo viso. Poi ci guardò e mise la sua mano al centro, seguita poi da tutte le nostre.
"Tae, Kook, dovete prendere quattro solo quattro zombie; Nam, Jin, Hobi voi eliminerete gli altri che Bam ha individuato. Io mi occupo di questi stronzi e, Yoon, a te tocca Billie" ordinò Jimin, lanciando uno sguardo pieno di aspettativa che non potevo sgretolare.
Avevo una chance, anzi avevamo una chance. Per me era difficile, ma lo era ancora di più per gli altri, ognuno di loro portava tante emozioni di questo mese, negative o positive che siano, erano pronte a gettarle. Faceva venire i brividi come, ormai, riuscivamo a leggere il pensiero degli altri, eravamo una famiglia. Non smetterò mai di dirlo, forse non lo dirò agli altri, per mio carattere, ma lo penserò sempre, anche quando qualcosa o qualcuno ci obbligherà a separarci, il ricordo è quello che lega una persona ad un'altra. Si possono dimenticare le emozioni, forse anche le situazioni, ma non le persone, quelle rimangono, fatevene una ragione.

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Io non voglio spaventarvi, né voglio spaventarmi, ma presto giungerà alla fine anche questo libro.

-Lougtout

°Apocalypse•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora