Eccomi, eccoci.

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E fu mattina. Avevo chiuso gli occhi verso le 4 per risvegliarmi alle 7.

Intorno a me avevo tutti poster di Ale, come è fatta la mia camera. C'erano quasi tutti ed, il giorno precedente, ero riuscita ad acciuffarne uno nuovo. Quei poster mi riportavano alla realtà. Mi piaceva pensare che, quel giorno, uno di loro avesse preso vita, cantando su un palco allestito per lui.

Erano le 7.15 ed i miei pensieri volavano tra le mura della stanza, battevano contro i muri e ognuno poteva percepirli.

Mia mamma, quando veniva ad aprirmi la porta, mi aveva visto come mai. I miei occhi già brillavano, ero già fuori dal letto. La mia mente stava già pensando a lui, ma nell'ora successiva avrei dovuto tenere la prova d'esame di Matematica.

Dopo aver fatto colazione ed essermi vestita, mi recavo a scuola per sedermi ad un qualsiasi banco ed affrontare la mia prova. Sfruttavo al massimo il tempo minimo, in modo da poter consegnare il prima possibile il mio foglio.

Alle ore 11.30 ero uscita da quell'aula ed aspettavo mia mamma che mi venisse a prendere fuori ai cancelli verdi di quella scuola, che era stata la protagonista di ben tre anni della mia vita. Ero entrata, per la prima volta, in quelle mura quando avevo iniziato a conoscere Ale ed avevo concluso il percorso scolastico incontrandolo.

Mi guardavo intorno e tutto sembrava avere più colore; il sole splendeva di raggi fortissimi, la temperatura era davvero alta e tutto mi pareva più bello.

Il panificio di fronte aveva messo nuove tende, color verde. In quel momento, per me, avevano rappresentato la speranza di poter arrivare in tempo per la prima fila.

Osservavo il passare delle macchine, il traffico di quella città che mi aveva visto crescere. In pochissimo tempo, ecco avvicinarsi l'auto di mamma. Salivo velocemente a bordo per dirigerci, velocemente, sotto quel palco.

Il tragitto sembrava non finire mai, ero in una confusione di emozioni.

Qualche lacrima nervosa usciva dai miei occhi, avevo paura. Paura di non avercela fatta.  Di non essere in tempo. Avevo l'ansia di arrivare.

Si intravedevano i cancelli del centro commerciale e, man mano che ci accostavamo, anche il palco e le sbarre assumevano forme e colori più nitidi.

C'erano poche persone e due operai che montavano l'illuminazione per la serata. Poco più spostato sulla destra,  era presente un grosso signore, appoggiato alle casse acustiche noleggiate per l'evento.

La mia corsa contro quelle sbarre era alle ore 13, quando aprivano quel maledetto cancello. Stavo correndo velocissimo, nonostante lo zaino che faceva peso sulla mia schiena. Quasi inciampavo nei fili del microfono, stavo per cadere..Mi sentivo quasi morire, ma l'altro piede faceva forza anche per l'opposto. Non mi ero arresa, non potevo. Accelerai di più, superando tutto e tutti. Ero diventata una furia, onestamente me ne fregavo dell'ossigeno e della buona e solita respirazione. In quel momento ero come in apnea, neanche più ricevevo aria. Affannosamente, percorrevo quei pochissimi metri che mi dividevano dalla prima fila centrale. Allungavo le mani, avevo toccato le sbarre. Con i piccoli muscoli delle braccia, tiravo il mio corpo nella loro direzione ed ecco il mio posto di tutta la giornata. Ero centrale, spostata sulla destra ma sempre centrale.

Mandavo subito un messaggio ad Ale, pronta a dirgli che ero stata capace di mantenere la mia promessa. Una volta ripresa dalla fatica stoica, dall'immenso affano che mi aveva sopraffatto, iniziavo a guardarmi intorno.

Non conoscevo nessuno, ma sentivo delle voci pronunciare il mio nome.

"Quella è la Mar, quella stronza amica sua. Non è andata nel privè?"

O anche: "Che bastarda, con che coraggio sta qui. Adesso le tiro quei quattro capelli che ha in testa."

Rabbrividivo, nonostante i 40 gradi C.

Mi odiavano, quella famiglia tanto contemplata non esisteva..

Esistevano solo egoismo e prepotenza, io volevo solo fare amicizia con qualcuno. Mi ero seduta tra di loro, mi ero presentata e qualcuno aveva cambiato idea su di me. Io non facevo parola di me e di Ale, del nostro rapporto e di tutto quello che nessuno sapeva. Parlavamo di come lo avevamo conosciuto e delle nostre emozioni, io non mi sbilanciavo mai. Sentivo solamente il mio cuore battere un pò più forte al sentire il suo nome.

Dopo cascate di acqua in testa e sul corpo, miste al sudore che ci aveva distrutte, inizia il cabaret. Alle ore 19 iniziavano i balli e tutte noi ci eravamo scatenate per poter attutire l'ansia. Ballare e cantare con loro mi scaricava un pò e ne avevo bisogno, dato che mi sentivo sul punto di esplodere. Gli occhi giravano in ogni angolo del palco e, ovunque, si potevano vedere striscioni, dediche, maglie personalizzate. Io avevo appeso il mio cartellone con gli auguri e mi ero fatta diverse scritte per farmi riconoscere almeno. Il tempo volava, scorreva a velocità supersonica. Ogni volta che bloccavo e sbloccavo il cellulare erano passati almeno 10 minuti.

Erano le 21.30 e stavamo ballando, cantando, insieme agli animatori della serata. C'erano già tantissime persone, tanto che anche le scale erano piene. Tutto il giardino era occupato da persone pronte ad ascoltarlo, ognuno era venuto per sentirlo cantare. Non riuscivamo a stimare un numero; neanche immaginavamo quante potevamo essere all'appello. Da quest'ora in poi, il tempo sembrava inesorabilmente eterno. Un minuto scorreva come fosse un anno, sapeva di un qualcosa che non  riuscisse a finire facilmente. I secondi scorrevano, ma i minuti non giravano mai. Mancavano solo 15 minuti e Ciuffo, anzi Alessandro, avrebbe calcato quel palco.

Dato il nostro calore, molte volte ci avevano fatto urlare, facendoci credere che Ale stesse per salire. Dopo varie finzioni, tantissime risate e un pò di pazzia, il silenzio calava sul pubblico.

"Vi presentiamo, signori e signore, ragazzi e ragazze che state qua da stamattina, Alessandro Casillo."

E questa volta? Sarebbe uscito davvero? Er arrivato il momento o il mio cuore avrebbe dovuto ancora aspettare?

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