(R)esistenza.

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Il tempo passava, l'inverno si avvicinava.

Le nostre vite erano, come al solito, separate ma, comunque, unite da un filo lungo ottocento km che non sapeva mai spezzarsi, che non avrebbe mai potuto consumarsi. Non sapevamo più stare lontani; quell'affetto reciproco era talmente grande da farci stare sempre insieme: mentre studiavo, ricevevo suoi messaggi e ciò mi rendeva più facile il compito.Così come, quando lui era impegnato in qualsiasi molteplice attività, io ero lì a scrivergli, a rassicurarlo e a rassicurare anche me stessa, affinchè pensassi che lui stesse bene, lì ed io qui.

"Ciao piccola. Come va con la matematica? Se hai bisogno, c'è la capretta qui."

"Ciao Ale, sto impazzendo con le equazioni perchè non me ne trovo ad una ed ho paura di non riuscire domani nel compito."

"Ma tanto tu sei brava, chiudi tutto e stai con me."

E così finiva, anche se pensavamo che avrei dovuto continuare, sapeva trattenermi sempre e comunque, anche nei momenti di maggiore tensione.

E io mi auguravo di saper fare lo stesso con lui; in quel periodo non eravamo molto d'accordo, ma sapevamo unirci, anche quando io stavo male per noi.
Da un pò di tempo, io soffrivo ancora di più per quella distanza. Da quando mi aveva raccontato della scuola, non riuscivo più ad evitare ogni minimo contatto con lui; dovevo sapere quotidianamente se stesse bene e, fortunatamente, egli era contento di queste mie attenzioni, senza mai considerarle un peso o qualcosa di opprimente. La mia tensione per una vita che non era come l'avevo voluta, mi aveva reso ribelle, problematica. Non gliene parlavo, non ne parlavo con nessuno in verità, ma la scuola che frequentavo non mi faceva sentire al posto giusto per l'ambito delle materie. Avevo già fatto, in pochi mesi, belle amicizie, ma il contesto non mi faceva impazzire più di tanto.

Ero diventata abbastanza passiva alla vita della giornata e mi importava solo sapere che lui stesse bene. Le mie giornate erano diventate frenetiche, pazze quasi. Studiavo moltissimo per rendere in quella classe, che mi riservava solamente delusioni, mancanze di comprensione ed odio generale.

Ma con lui non avevo proferito parola. Da alcuni giorni, mi aveva chiesto particolarmente cosa avessi, ma non gli avevo mai dato una risposta. Lui aveva bisogno di me, lui era la persona che doveva stare bene. La notte ne pregavo: non ho mai chiesto per me, oltre a domandare un suo incontro, ma interrogavo per lui. Avrei dato tutto affinchè stesse bene, affinchè la sua vita fosse serena e tranquilla. E così, il mio malessere era stato subordinato alla sua esistenza. Qualsiasi cosa io facessi, era in sua funzione. Studiavo e non mi arrendevo: per lui. Piangevo la notte, solo al buio: solo per lui, perchè non si preoccupasse. Ogni secondo della mia vita, ogni canzone alla radio, ogni posto che avevo visitato, era rivolto a lui. Lo pensavo di continuo e mi preoccupava che la situazione, passato un mese, avesse ricominciato a verificarsi.

Lui stava bene; almeno non mi ero accorta di sue modifiche o preoccupazioni; e andava bene anche a me, davvero. Era un amore bellissimo, un fratello, e mi emozionava talmente tanto perchè io non ne avevo mai avuto uno e lui, finalmente, era arrivato. Insomma, nella mia vita era entrato un angelo, che mi aveva asciugato le lacrime, aiutato, sopportato, ed io ero fiera dei miei modi di essere, del modo di essere della mia esistenza, in gran parte grazie a lui.

Tutti i confini della mia solitudine, si erano abbattuti e lui era diventato il prato sconfinato, nel quale correvo a perdifiato, ma non lo raggiungevo mai. La distanza mi faceva male; ogni giorno che mi svegliavo, dopo aver aperto gli occhi e alzato la testa dal cuscino, mi domandavo se quel dolore si fosse cancellato, o almeno calmato.

Invece no, ogni giorno che passava faceva più male. Stava scolpendo il mio cuore che, sofferente, ne aveva preso forma. Sapeva di amarezza, di delusione, perchè non c'era nulla che io avessi mai potuto fare per cambiare quella vita che non volevo. E non poteva fare nulla neanche lui.

Alessandro's pov.

"Cucciola, scusami se ti disturbo, studi?"

"Ciao Ale, si...Sto studiando."

"Ecco perchè non mi hai contattato. Sono le 22 e mi sono preoccupato. Scusami, non ti voglio disturbare, ci sentiamo quando vuoi."

Lei studiava in modo forsennato ed io, forse, avevo capito le sue ragioni. Sotto questo continuo studiare, questo assillo quotidiano, doveva esserci qualcosa, che la mia piccola non voleva dirmi..

Dovevo parlarle, subito.

"Chiudi tutti i libri ed i quaderni, ho da parlarti. Ti prego."

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