Rebecca

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Quando apro gli occhi, Nikita non è più accanto a me. Ha chiuso le tende impedendo alla luce di svegliarmi.

Il cellulare lasciato sul comodino comincia a vibrare: è un messaggio di Rebecca. Dice che è tornata a Roma e vorrebbe vedermi. Le rispondo che se è libera possiamo incontrarci nel pomeriggio e cenare assieme. Passa a prendermi alle sedici.

Ho l'impressione d'aver sudato alcool. Faccio l'ennesima doccia, insaponandomi alla svelta. Ricopro i miei capelli di gel mandandoli indietro, passo la protezione solare su tutto il corpo, insistendo sul viso e le braccia.

Scendo di sotto. Nikita è seduto sul divano, sorseggia una tazza di caffè. La luce ha preso possesso di tutta la casa. Le tende spalancate sembrano un invito al giorno, un'esortazione a divorarci entrambi. Gli spazi sembrano immensi quando ben illuminati, ed ora con questo sole che ci punta i fari addosso somigliamo ai protagonisti di una commedia su un enorme palcoscenico bianco. Nikita non mi rivolge la parola. A malapena accenna un saluto quando gli dico "Buongiorno". Friggo due uova restando davanti ai fornelli, divisa tra lo sfrigolio dell'olio ed il rumore dell'aspiratore. Mangio da sola sedendomi al lato più stretto del tavolo. Fatico a deglutire. Mi chiedo se è possibile sentire la mancanza di qualcuno seduto a pochi metri da me. Finisco svogliatamente le mie uova.

«Si può sapere che ti prende?»

«Niente di particolare, mi sono svegliato male.»

«Questo lo vedo. Mi chiedo come mai.»

«Non lo so, a te non capita mai di svegliarti così? Con la voglia di startene per i fatti tuoi qualche ora?»

«Si certo.»

«Bene.»

«Non ci sono a cena. Esco con Rebecca.»

«Perfetto. Pensi di restare fuori stanotte?»

«Non lo so, non ci ho pensato.»

«Fammelo sapere, se non torni chiudo il chiavistello.»

Rebecca passa a prendermi alle sedici, esattamente come aveva detto. Guida una macchina grigia, nuova di zecca. Gli interni hanno ancora il caratteristico odore di auto appena acquistata. Mi mette tristezza vederla guidare una macchina diversa. Mi chiedo cosa ne sia stato della vecchia Twingo, la immagino dormine nel cimitero delle auto, coperta di rovi, con all'interno ancora qualcosa di nostro. Forse un pacchetto di caramelle caduto da una borsa, o gli assorbenti di scorta che lasciavamo all'interno dello sportelletto per le emergenze. Rebecca si toglie gli occhiali da sole e mi scruta.

«Che cazzo hai fatto ai capelli?»

«Li ho tagliati.»

«Cristo se li hai tagliati.»

«Stavo per rasarmi del tutto, ma all'ultimo il parrucchiere mi ha fatto rinunciare.»

Mi passa una mano in testa, poi esclama:

«Hai una testa bella tonda, non dovresti star male senza capelli. E in effetti neppure così, una volta superato lo shock iniziale la cosa diventa accettabile.»

«Beh sono contenta che tu possa trovare la mia testa accettabile.»

Rebecca ride, rimettendosi gli occhiali da sole.

«Possiamo cenare a casa dei miei se ti va, loro sono andati in vacanza. Quest'anno cinque stelle in Madagascar, che schifo eh?»

«Li sto invidiando, non parlarmene più delle loro vacanze.»

«Volevo condividere la mia invidia con te. Quest'anno niente vacanze per me, purtroppo. La vecchia Twingo mi ha lasciato a piedi e con le rate di questa da pagare me la scordo, una vacanza.»

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora