Distanze

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Saremmo morti insieme.

L'unica cosa, che riuscivo a percepire stando al suo fianco, era una sorta di immortalità. Come se nulla potesse scalfirmi finché lui mi teneva la mano.

Provo ancora quella sensazione, ogni volta che Nikita mi avvolge, stringendomi a sé. Quando sento il suo respiro sulla nuca, allora so che nulla di male può accadermi.

Il sole è sempre più basso, ed il mio frigorifero è completamente vuoto; spento per l'esattezza. Non lo riempio da mesi. Tornando qui una volta la settimana, fare la spesa mi sembrava piuttosto inutile. Le ultime volte che l'ho fatto mi sono ritrovata con un sacco di roba da buttare. Il supermercato resta aperto fino a tardi, decido di darmi una sistemata ed andarci, altrimenti finisco a mangiare pizza per giorni. Mi do una ripulita, mi cambio e mi metto a pensare alla spesa. Intanto il telefono comincia a squillare. È Rebecca. Mi chiedo per quale motivo io non abbia spento il cellulare. Poi mi sento una stronza e rispondo.

«Ehi.»

«Sono qui sotto, vieni ad aprirmi.»

Scendo, senza fare ulteriori domande, soprattutto perché ha già riagganciato.

È davanti al cancello. Elettrica.

Appena le apro, mi si piazza davanti. Incazzata. Sussurra al mio orecchio per non farsi sentire dagli altri che passano: "Che cazzo ce l'hai a fare un telefono, se tanto uno può pure crepare e tu nemmeno rispondi?"

«Scusa, non l'ho guardato il telefono.»

«No? Quindici cazzo di messaggi, ti ho mandato. Ti avrò provato a chiamare una ventina di volte.»

«Rebecca, dobbiamo litigare più tardi. Mi chiude il supermercato.»

«Ma sai che mi frega del supermercato...»

«Frega a me, sto crepando di fame e non c'è un cazzo da mangiare a casa mia.»

«Cammina, t'accompagno in macchina.»

Rebecca mi trasforma. Il suo acido si travasa nella mia mente. Finisco per parlare come lei. Quando è in questo stato alterato, avviene senza che io possa farci niente. Non c'è diga che tenga, riesce a rompere ogni argine, le sue acque mi si scagliano addosso, finiamo per essere la stessa cascata. Fatte delle stesse parole, in cinque minuti il mio corpo muta in un contenitore di ansie. Un barattolo con l'uragano dentro.

Entriamo in macchina. Vorrei controllare il telefono, leggere i messaggi, capire cos'è che ha ridotto Rebecca così.

Nel supermercato sembriamo due pazze. Io completamente bruciata, con la pelle color aragosta. Lei con la faccia incazzata, passeggia per le corsie con degli occhiali da sole che le coprono metà della faccia. La gente ci fissa come fossimo l'attrazione del circo. Due esistenze ridicole. Una fotografia di Diane Arbus.

Osservo le realtà che mi sfilano accanto. Persone diverse da noi. Legami stabili, ruoli consoni. Fedi in bella mostra all'anulare sinistro. Una donna, che avrà l'età di mia madre, mi passa vicino. La immagino tornare a casa, abbracciare la figlia. O forse non ha una figlia, però è sposata. Mi chiedo quale sia il suo ruolo in questo mondo, e se lei ne è cosciente. Se vive la vita che ha scelto, oppure una sequela di eventi a cui non sa opporsi. 

Chissà se sono felici, gli altri. In che modo combattono le loro battaglie. Come si rialzano quando vengono colpiti e cadono a terra. Sono poche le persone che conosco. Ed anche di quelle che conosco meglio, c'è qualcosa di cui sono all'oscuro. Questo mi rende totalmente incapace di comprendere il modo in cui si svolge l'esistenza degli altri. 

A me, che non arrivo a capire appieno quello che mi accade, e neppure riesco a dire ad alta voce quali siano i miei desideri, riuscire a comprendere la vita di un altro, nella sua interezza, appare impossibile. Eppure ci sono dei momenti in cui vorrei immergermi nelle vite altrui. Assaporarne i desideri e le inquietudini. 

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora