I ricordi nelle scatole

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Dovrei starmene sdraiata sul letto, ma non riesco a fermarmi. Dopo la mattinata passata insieme a Samuele me ne sono tornata a casa, ho indossato un vecchio vestito, e dopo aver mangiato un pezzo di pizza mi sono messa al lavoro. Non faccio altro che tirare fuori il contenuto delle scatole, ammassate ovunque nel mio appartamento. Estrazione, valutazione e scelta della destinazione. Ho già riempito due buste, di quelle enormi. 

Ora stanno in un angolo, continuamente in procinto di collassare l'una addosso all'altra. Ci ho ammassato di tutto, cercando di togliere l'aria, per farci entrare più roba. Per lo più sono vestiti di mio padre, di quelli che nessuno ha voluto. Maglioni, giacche, cravatte. Qualche paio di jeans. E poi soprammobili, di quelli che ho sempre detestato. Porcellane che sembrano provenire da altre epoche. 

Da vite non mie. 

Ninnoli designati all'accumulo della polvere e di altri allergeni. E poi centrini, orrende tovaglie del corredo. Su una c'è ancora la cera, colata dalle candele, durante l'ultimo pranzo di Natale della nostra famiglia. Ho trovato una scatola enorme, piena soltanto di libri e quaderni, miei e di Samuele. I libri li butto via tutti, nemmeno li sfoglio. Rischierei di trovarci all'interno qualcosa, mi fermerei, perderei tempo. Ho bisogno di creare spazio, in fretta. Ho i polpastrelli ricoperti di polvere. Le scatole ne sono rivestite. 

Anche gli armadi vanno svuotati, e così i mobili. Quello dell'ingresso, appena l'ho aperto, mi ha sputato addosso pagine gialle ed elenchi telefonici, accumulati nel corso degli anni e lasciati lì. Quando sono caduti un insetto ha cominciato a correre sul pavimento, verso i miei piedi. Ho urlato tirandomi indietro. La sensazione di sentirmelo camminare addosso è rimasta. Ogni tanto, mi pare di percepirne i movimenti veloci delle minuscole zampe. È indescrivibile lo schifo che provo. Sul fondo di un cassetto, pieno di cose inutili, ho trovato una coppia di vecchie tende. Datate, ma di un bel tessuto, color carta da zucchero. Vorrei metterle in camera da letto.

 Andando avanti, continuando ad aprire cassetti e sportelli, mi accorgo di quanta roba inutile sia ammassata qui dentro. In ogni angolo c'è qualcosa che non servirà mai a nulla. Qualcosa di brutto o di rotto. Qualcosa con cui potrei ferirmi. Qualcosa che potrebbe farmi piangere. Ogni cosa va riposta senza manifestare curiosità nei suoi riguardi, altrimenti come una maledizione l'oggetto potrebbe trascinarmi in uno stato assolutamente inadatto alla circostanza. Lo ripeto quando trovo nel cassetto della sala da pranzo una busta piena di lettere e cartoline. Messaggi che i miei genitori si scambiavano, quando ancora non vivevano assieme. Mi sembra crudele gettarli via, darli in pasto alla discarica. 

Li ripongo in un cassetto appena ripulito, svuotato di tutto il suo contenuto. Gli do il nome di "Cassetto Delle Cose Da Non Leggere" . Ci ficcherò dentro tutto ciò che non posso buttare via, ma che non voglio ritrovarmi davanti agli occhi. Saltano fuori delle foto di mia madre da giovane, con i capelli tinti di biondo e poi di rosso. In una ride tenendo in mano una torta. Era il suo sedicesimo compleanno. Ce ne sono alcune dove stringe il gatto, Telemaco. Altre dove bacia papà, poi lei, papà e Telemaco, nella stessa fotografia. Io e Samuele. 

I paesaggi, i viaggi fatti assieme, le recite scolastiche. Mi dico che basta così. Non è una cosa che posso permettermi ora, le guarderò in un altro momento. Deciderò se bruciarle, o tenerle. I sacchi della spazzatura aumentano, nell'angolo vicino alla porta dove li sto ammassando. Decido di portarne qualcuno di sotto. Quando mi accorgo di quanto sono pesanti decido di lasciarli rotolare giù dalle scale, e poi ancora, prendendoli a calci, uno dopo l'altro. Fino al cancello. Le gambe mi fanno ancora un male incredibile, ogni volta che ne muovo una rimpiango d'essermi alzata dal letto questa mattina. 

E la pelle, la pelle tira. Vorrei cospargermi d'olio e restare immobile. Ripormi in un angolo. Concedermi alla mia agonia. Piangere disperatamente pensando all'uomo che amo. Fare scenate. Lasciare che Rebecca mi consoli. Donarmi a lei, sentirle dire che sono bella. Invece spengo il telefono. Per restare sola, e non ascoltare nessuna voce, se non quelle che vivono nella mia testa. Ho bisogno di vedere tutto da lontano, mi allontanerei da me stessa se fosse possibile, per riuscire a vedermi dall'alto e magari capire chi sono, dove sto andando. I perché di Nikita, ed i miei. 

A stargli accanto non riesco a vedere che lui. 

Mi ritrovo a pensare al mio ruolo al suo fianco e poi cedo, ripiego sull'altra. Senza lottare, senza nemmeno provarci. Mi lascio amministrare da lei, come fosse una madre. Quasi mi dovesse qualcosa, come se il suo dolore non esistesse. E non devo. Ho l'impressione che il caos che mi ritrovo attorno prenda vita dai miei pensieri. Tutte queste scatole sul pavimento, la polvere, tutto ciò che non ho mai voluto vedere o gettare via. Ho tenuto ogni cosa. Sono come questo appartamento. Non appena si guarda leggermente oltre l'apparenza, ci si accorge che qualcosa non torna. Un mobile ben lucidato, ma all'interno pieno di ragnatele ed elenchi telefonici del tutto inutili. 

Cose che potevano essere utili un tempo, ma che sono solamente carburante per il fuoco oramai. Io e Nikita ci siamo dedicati tempo e spazio, attenzioni, sottraendo tutto ciò al resto. 

Ma cos'è che abbiamo costruito? Cosa abbiamo in mano adesso? Ho l'impressione che si stia espandendo all'interno di me, come un cancro, lasciando materia morta. Parti da sostituire. Buchi nel cuore. Mancanze. È amore questo? Conoscere un corpo a memoria, come fosse il proprio, e doverlo trattare come fosse il proprio. Non poter fare l'amore con se stessi. Era questo il suo scopo? Samuele ha ragione, continuo a cercare le ragioni fuori da me stessa, evitando di conoscermi, d'avere a che fare con me, con la mia solitudine. Di accettare me stessa come compagna di stanza. Lo faccio ogni volta, con tutto. Mio fratello lo ripete ogni volta che torna. Sono il tipo di donna che pulisce la casa d'altri, lucidando ogni cosa, ma poi si ritrova l'appartamento abitato dalla polvere. I mobili pieni di cose non sue.

Frugo all'interno di me, come fossi una scatola di queste. Voglio capire cosa c'è dentro, all'interno. Oltre lo strato visibile a tutti. Resto seduta per terra con le gambe divaricate e le braccia abbandonate lungo il corpo, le mani toccano terra e restano immobili. 

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora