Un luogo in cui essere onesti

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Ad un tratto, come una rivelazione, lo vedo, sul fondo di una delle scatole, che sembrano tutte uguali. È disteso, con le pagine spalancante, come le gambe di una donna. Il mio diario. Lo pulisco strofinandone la copertina sugli abiti che indosso. Mi lascia addosso una scia chiara e polverosa. Lo porto vicino al naso, sento l'odore di mia madre. Il suo profumo impregna le pagine. Alcuni petali scivolano via, volteggiano nell'aria come singole ali di farfalla, incapaci di compiere il volo. Sfoglio le sue pagine, riconosco i giorni raccontati con la penna. Uno dopo l'altro. Ci sono dei fogli all'interno: disegni conservati tra le pagine. 

Un ritratto di Nikita, lo stampo del rossetto di Rebecca. 

La figurina di Sailor Saturn. 

Mancano alcune pagine. Come se le avessi strappate. Sono tre per l'esattezza. Controllo le date, prima e dopo. Non ci credo. Il mio sangue diventa gelido. Come quello di un rettile rimasto nell'ombra per troppo tempo. Sento lo stomaco contrarsi. È il periodo della ristrutturazione, quando sono finita in ospedale. Quel periodo è buio. Una chiazza d'inchiostro. Frugando al suo interno finisco ogni volta per perdermi. Detesto affacciarmi in quei momenti, ho l'impressione costante di osservare qualcosa che la mia mente ha distorto. L'unica certezza che mi resta di quei giorni è l'aver perso una giornata e mezza della mia vita. Trentasei ore buttate nel cesso, addormentata in un letto d'ospedale. 

Un coma etilico, o overdose da farmaci, non mi ricordo. So solo che nelle mie analisi c'era di tutto. Avevo fatto un casino. In ospedale avevano pensato che volessi ammazzarmi. Credo d'essere arrivata a casa così ubriaca da non rendermi conto. Devo aver confuso i medicinali e aver preso le gocce per dormire. Forse avevo la nausea e cercavo un antiacido. Non so com'è andata. Mi ha trovata Nikita, buttata sul pavimento, con la bava alla bocca.

Vorrei scavare in quel muro. Ora so che dovrei. C'è qualcosa di mio lì dentro. Non capisco cosa mi abbia spinto a fare una cosa del genere, a strappare quelle pagine e nasconderle lì dentro. Resto a terra, con la schiena contro l'armadio, il diario in mano ed i pensieri che si accavallano. Potrei aver strappato quelle pagine e averle gettate nel cestino. Semplicemente perché mi era esplosa la penna. Magari si erano incollate tra loro. C'è qualcosa che mi impedisce di crederlo, ed è proprio quel sogno. La sensazione che mi lascia al risveglio.

Di nuovo, è quasi il tramonto.

Vorrei soltanto vedere Nikita.

Sul telefono cerco il suo numero, la chiamata parte. Risponde dopo uno squillo soltanto.

«Vengo a prenderti, vieni a casa con me...»

Ho paura che quell appartamento mi risucchi, rendendomi incapace di alzarmi e andarmene.

«No, facciamo un giro... Al mare, in un parco, andrà bene qualunque posto.»

«Ok.»

«Dammi solo il tempo di ripulirmi, sono coperta di polvere.»

Un'ora più tardi Nikita è sotto casa mia. Ogni volta che mi lavo mi sembra di sentirmi peggio, come se la pelle a contatto con l'acqua sprigionasse di nuovo calore. Eppure ormai dovrei stare meglio. Quando entro in macchina, Nikita mi guarda per alcuni secondi, passando con gli occhi sul mio corpo più volte.

«Mi sono bruciata.»

«Non l'avrei mai capito senza il tuo aiuto.»

«Ho preso un'insolazione coi fiocchi, mi è venuta pure la febbre.»

«E perché sei uscita? Scendi, saliamo da te.»

«Da me ci sono Rebecca e Samuele.»

«Che casino che è successo, anche a lei...»

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora