Un ritratto completo di me

151 17 1
                                    


Penso al nostro rituale. A noi due che scompariamo, diventando un solo corpo. Noi due che occupiamo lo spazio di una singola persona. All'interno della stessa vasca, nello stesso letto. Lui che mi abbraccia inglobandomi, come se mi assorbisse. E poi i pasti, consumati come i viaggiatori dei treni, uno accanto all'altro, senza guardarci. Come se fossimo soli io e lui. Un'unica entità. Un corpo diviso per sbaglio, da rimettere insieme per forza.

Ecco quello che facciamo.

Mangio lentamente. Guardo Nikita seduto davanti a me. Il suo viso appare ancora più chiaro, in contrasto con il nero della maglietta. È teso, i suoi occhi cupi. Quando finisce di mangiare tampona le labbra rosse con il tovagliolo. La sua bocca sembra truccata. Somiglia a quella di alcune donne che si vedono sulle riviste. Penso a tutte le volte che l'ho preso in giro dicendogli che sembrava si fosse rifatto le labbra. Al pensiero mi viene da ridere.

Mando giù l'ultimo boccone.

Restiamo fermi, mano nella mano, impauriti. Poi lentamente nella mia bocca le parole si ammassano, finché non diventano troppe. Pungono la lingua, si accalcano verso le labbra, cercando la luce, come semi sotto la terra umida.

«Sai qual è il mio problema, Nikita? Che io vorrei fare l'amore con te anche adesso. Anche ora che non mi reggo in piedi, che sono stanca, che ho la febbre, e la pelle che mi brucia. E sto di merda. Sto di merda perché non capisco cosa stiamo facendo.»

Prendo fiato e continuo, lascio che la mia gola rimetta questo alfabeto inacidito. Trasformo le mancanze in suono. Ed ora diventano reali, come i discorsi notturni di Nikita.

«Non mi importa se mi vedi in questo stato, perché tu puoi vedermi in questo stato. Sei l'unico che può vedermi così.»

«E Rebecca?»

«Non sono innamorata di Rebecca.»

«Allora perché?»

«Perché ne ho bisogno!»

«Di cosa hai bisogno?»

«Di sentire addosso il corpo di qualcuno. Qualcuno che sia innamorato di me.»

Non c'è imbarazzo mentre parliamo. Ma quella sensazione di precarietà ci resta addosso, urticante come il tocco di una medusa.

«Perché non me l'hai mai detto di te e Rebecca?»

«Perché ero terrorizzata, all'idea che non te ne importasse niente, o che ne restassi schifato. Ma all'inizio no... All'inizio era un modo che avevo per non pensare. Se stavo con Rebecca non pensavo a mio padre, a mia madre. A mia nonna. Non pensavo a cosa avrei dovuto dirti. Era una cosa mia e basta»

Rebecca era un rifugio. Il mio posto segreto. Un giardino in cui il mio passato non esisteva. Dove nessuno mi aveva abbandonata.

«Ma perché Rebecca?»

«Perché lei non sa niente di quello che mi è successo, Nikita! Ogni volta che veniva a trovarmi inventavo una cazzata sulla mia famiglia...»

«Non sa dei tuoi genitori?»

«No!»

«Hai costruito una relazione con una persona che non sa niente di te?»

«Rebecca sa molto di me, sa cosa mi piace, sa quello che penso, ma di molte cose non sa assolutamente nulla.»

«E tu non ami Rebecca...»

«Le voglio molto bene e sono attratta da lei, ma no, non amo Rebecca.»

Per tutto il tempo ci teniamo la mano.

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora