La tomba del padre

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Siamo usciti dalla città, non me ne sono neppure accorta. Ci sono alberi da un lato e dall'altro della strada. Non so che alberi siano. Sono alti, con i rami tesi verso l'alto e le foglie ampie, d'un verde saturo, chiaro. Il loro colore, il modo in cui filtra la luce attraverso le foglie, trasportano il mio cuore in uno stato di grazia. Adoro spostarmi in macchina, ho l'impressione di riuscire ad assorbire i paesaggi che passano fuori. I loro colori, che viaggiano veloci verso di me. Le mie pupille li imprigionano. Ho l'impressione di farci l'amore con quelle chiazze di verde e d'azzurro, oro e rosso, sparate dentro ai miei occhi. Prendono il posto della rabbia e della tristezza. Del volto disperato di quella madre adolescente, che ho appena immaginato piangere. Sono come valium iniettato in vena.

Davanti al cimitero, decine di banchi di fiori si alternano in un meccanismo di pieni e vuoti, creando un pattern lineare. Una fascia di quadrati simili, che differiscono nel colore. Non ci fermiamo a comprare i fiori. Nessuno dei due domanda all'altro se vorrebbe farlo. Credo dipenda da nostra madre. Odiava i fiori recisi. Una volta, non ricordo chi, si presentò in casa nostra con delle bellissime peonie. Ancora adesso ne ricordo il colore, un rosa delicatissimo, non avevo mai visto una tonalità di rosa simile a quella. 

Aveva all'interno una piccola percentuale di giallo. Le foglie erano di un verde luminoso. Quei fiori sembravano appena colti. Ce li portarono avvolti in un foglio leggero, di carta. C'era un nastro intorno, somigliava al colore dei fiori ma non era altrettanto bello. Ricordo d'aver infilato il mio naso al centro dei petali di uno dei fiori, dicendo che quelle rose non profumavano affatto di rosa. Mio padre mi disse allora che non erano rose, bensì peonie.

Mia madre quando ci ritrovammo da soli, con i fiori davanti, cominciò a dire quanto fosse di pessimo gusto presentarsi con quei fiori recisi. Diceva che sembravano pezzi staccati a una bestia, ancora viva da qualche parte, ma mancante degli arti. Le faceva impressione questa usanza di strappare i boccioli alle piante, invece di regalarle così come sono: complete di tutto, senza farle soffrire. «Da qualche parte c'è una peonia mutilata.» Continuava a ripetere con disgusto. Quando finì di infierire con la voce sul regalo che ci avevano fatto, mio padre mise quei fiori in camera mia. Aveva capito che a me piacevano. 

Con il passare dei giorni quei fiori cambiavano aspetto. I boccioli si aprivano, a quelli già aperti col tempo cadevano i petali. Li raccoglievo dalla mia scrivania, mettendoli in salvo all'interno dei libri e tra le pagine del mio diario. Provavo tristezza mentre morivano. Avevano perso tutto il loro colore e gli steli cominciavano a marcire. Poi mia madre li portò via, li avvolse nel giornale e li gettò nell'immondizia.

Avevo capito che neppure a me piacevano i fiori. Non quelli tagliati e ficcati nei vasi. Sono vivi ma non puoi prendertene cura, non puoi evitarne la morte. Non sopravvive niente di loro. È qualcosa di bello che non può durare.

Samuele ferma la macchina in un punto dove non dovrebbe dar fastidio a nessuno. Un viale di cipressi ampio e soleggiato. Non c'è neppure un posto all'ombra. Il rumore del freno a mano inserito mi porta alla realtà, lontana da quelle peonie morte da più di un decennio.

Ogni volta dimentico quanto sia grande e silenzioso il cimitero.

«Fa impressione pensare a quante persone siano sepolte sotto di noi.»

Samuele fa spallucce.

«A me non fa né caldo, né freddo.»

Ogni tanto ho un brivido ed un momento dopo sono coperta di sudore dalla testa ai piedi. Tutto sommato credo che la febbre stia scendendo ed in qualche modo anche il dolore si è attenuato. Credo che la pasticca abbia fatto effetto.

Samuele cammina davanti a me, se non fosse per lui non saprei ritrovare la tomba di nostro padre. Quando mio fratello si ferma penso ad uno scherzo. Resto attonita, fisso davanti a me in cerca di una risposta.

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora