Flashback -Un nome da femmina-

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2000, quarta elementare. Indosso una felpa di pile rosa e verde mela, ho i capelli raccolti in una coda e la frangetta tagliata in modo buffo. Siamo seduti in classe da pochi minuti, io al primo banco. La maestra vuole controllare che non mi appiccichino nulla tra i capelli, che non mi taglino i vestiti con le forbici, che non mi strappino i capelli con lo scotch. Vuole che stia lì davanti dove può vedermi meglio. Dall'angolo in cui mi trovo riesco a scorgere una donna alta e bionda, molto bella e ben vestita. La maestra le sta parlando a bassa voce accanto alla porta. Se mi sporgo riesco a vedere un bambino in piedi accanto a quella donna.

Lui è Nikita e lei è sua madre.

Risate, ed un vociare di sottofondo, quando la maestra pronuncia quel nome che a tutti sembra quello di una bambina.

Nikita si siede nell'unico posto vuoto, accanto a me. Mi allontano dal centro del banco facendogli spazio.

Per tutto il tempo passato accanto a me pronuncia una o due parole.

Alle dieci e trenta, al suonare dalla campanella, tutti mangiano la propria merenda girovagando per l'aula. Nikita invece resta seduto al suo posto e sembra non aver portato nulla da mangiare. Ho l'impressione di trovarmi proprio al centro di uno sciame di vespe. Li sento parlare e ridere tra loro. Prendo un tovagliolo dalla mia busta per il pranzo e lo poggio sul tavolo davanti a Nikita, divido la mia pizza precisamente in due metà e gliene cedo una.

Un bambino di cui non ricordo il nome si avvicina al nostro banco.

«Sei sicuro che sei un maschio?»

Nikita annuisce senza parlare.

«Però hai un nome da femmina.»

Nikita capisce perfettamente quello che gli dice, ma non sa rispondergli. Continua a mangiare la pizza che gli ho dato.

«Spogliati e facci vedere.»

A quelle parole quattro o cinque ragazzini si avvicinano al nostro banco. Nikita scuote la testa.

Il bambino che aveva iniziato a infastidirlo lo afferra per una manica cominciando a tirare.

«Spogliati, avanti!»

Non saprei dire in quanto è avvenuto tutto, il tempo in cui Nikita si è alzato dalla sedia ed ha iniziato a colpirlo, in quanto tempo quel ragazzino è finito a terra e per quanto ha continuato a picchiarlo una volta steso sul pavimento. Aveva il labbro spaccato sporco di sangue e faceva uno strano verso quando veniva colpito. Resto ferma per tutto il tempo, non dico nulla, credo di aver sorriso ad un certo punto. Quando Nikita ha smesso di colpirlo, fingendo di non accorgermene ho pestato la sua mano mentre era ancora a terra.

Nikita non si è spogliato, ma nessuno pensa più che sia una bambina.

La maestra arriva correndo. Il rumore dei suoi tacchi riecheggia per tutto il corridoio, fino alla palestra. Restiamo a guardarla soccorrere il bambino steso per terra, finché non arriva l'ambulanza e lo porta via.

Accompagno Nikita nel bagno. Gli faccio lavare le mani ed il viso due volte con il sapone che porto nello zaino.

«Non devi toccare il sangue degli altri, mia madre ha detto che così ci si ammala e si può morire.»

Prendo dallo zaino il mio asciugamano, lui lo prende ed affonda con il viso nella spugna.

«Grazie.»

In classe è piombato il silenzio. Il volto della maestra è serissimo, ogni tanto sembra tremare e respira in un modo curioso, più profondo del solito. Appena rientriamo in classe mi blocca:

«Ottavia,cosa è successo?»

«Lui diceva che Nikita è una bambina, l'ha preso per una manica e ha cercato di spogliarlo. Gli diceva di togliersi i vestiti per fargli vedere se era davvero un maschio, allora Nikita l'ha picchiato, per non farsi spogliare.»

«Ma poi ha continuato a picchiarlo...»

«Lo aveva lasciato ad un certo punto, ma lui voleva abbassargli i pantaloni.»


Non era vero, stavo mentendo senza neppure accorgermene. Quel ragazzino non aveva mai provato ad abbassargli i pantaloni. Il fatto che Nikita lo avesse picchiato in quel modo non mi sconvolgeva affatto. Mia madre mi aveva detto che se avessero provato a spogliarmi allora avrei potuto fare qualsiasi cosa per impedirlo, soprattutto se avessero provato ad abbassarmi i pantaloni. Per questo l'ho detto. Volevo soltanto proteggerlo, anche se ancora non sapevo il motivo.

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora