Il vaso di Pandora

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Mia zia ha una piccola casa, appena fuori città. Accediamo dal giardino che la circonda. Corriamo sotto la pioggia, mentre lei ci aspetta protetta dal pergolato. Sembra un disegno. Lei con il vestito blu, i capelli raccolti e lo sfondo bianco dell'intonaco. La pioggia che cade, il cielo plumbeo, le pozze d'acqua a terra e al loro interno il cielo capovolto. Si ha l'impressione di potervisi tuffare all'interno, finendo dall'altra parte. Zia Candida mi abbraccia davanti alla porta, ci invita ad entrare. 

C'è un cane che ci segue fino al salotto, attraverso l'ingresso. Tre gatti siamesi dormono su una grande poltrona rossa, coperta di graffi. Piena di fili penzolanti. In alcuni punti si riesce a vedere l'imbottitura. Si nota che ha provato a ricucirla più volte, qua e là ci sono delle toppe, ma i gatti si sono affilati le unghie anche su quelle .

«Sedetevi pure.» Mia zia ci indica il divano a fiori, sotto la finestra. Io e Nikita ci sistemiamo lì, sorridendo. Il cane si sdraia ai miei piedi e comincia ad annusarmi le scarpe.

«Scusaci se siamo arrivati così all'improvviso, ma quando Nikita si è offerto di accompagnarmi ne ho voluto approfittare.»

«Figurati, che pensi che abbia da fare una vecchia come me?» Mia zia ride sedendosi sulla poltrona rimasta vuota. Non appena lo fa, uno dei gatti, che aveva alzato la testa per osservarci, le corre incontro. Lo osservo fare la pasta sulle sue gambe, poi accovacciarsi sul suo grembo.

«Questa è Priscilla. È bella vero?»

«Molto, somiglia tanto al gatto che aveva mia madre.»

«Certo, questa è la figlia! Adesso è una vecchietta anche lei, nemmeno me lo ricordo quanti anni ha.»

«E Telemaco, zia?»

«Telemaco è morto, quasi dieci anni fa. Aveva una ventina d'anni. Quando tua nonna me lo ha portato, ho deciso di prendergli una fidanzata. Si chiamava Avana, insieme hanno avuto tanti gattini. Lei non ha vissuto quanto lui, poverina. Nel ripiano sotto al tavolino c'è un album di fotografie, ce ne sono tante di Telemaco, se vuoi vederle.»

Mia zia mi raggiunge sul divano. Fuori la pioggia continua a cadere, sbattendo contro la finestra alle nostre spalle. Parliamo a voce alta, per coprirne il rumore. Riconosco il gatto di mia madre. È lo stesso delle foto che ho trovato in casa mia.

«Zia, ti dispiace se faccio qualche foto con il cellulare?»

«Fai, fai... Prenditi queste se vuoi.» Mi indica un paio di foto in cui tiene in braccio Telemaco, sono primi piani stretti dei loro volti, in uno Telemaco ha la bocca spalancata. Mia zia lo tiene stretto sotto le zampe facendo una faccia buffa, si vedono i suoi cuscinetti, le unghie leggermente in vista. Nell'altra sono di profilo, si toccano con la fronte. Sembrano le foto di due innamorati durante un appuntamento.

«Prendile, davvero. Ne ho tante di foto sceme come queste.»

Quanta felicità ha regalato a mia zia quel gatto? La stessa che hanno tolto a mia madre.

Il cane è venuto a sdraiarsi sul divano, proprio accanto a me. Quando smetto di accarezzarlo dà un colpo al mio braccio, col naso. Poi con la zampa destra tocca la mia gamba. Ha gli occhi scuri e luccicanti, il pelo chiaro e la bocca sembra dischiusa in un sorriso, mentre la testa va avanti e indietro, in un movimento lento, che segue l'andatura del suo respiro.

«Somigli tanto a tua madre, Ottavia. Alla tua età era identica a te.»

«Già.»

Nikita, rimasto immobile e silenzioso, per tutto il tempo, ora mi stringe la mano. Come per trarmi in salvo.

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora