L'acquario

1.2K 46 48
                                    

Io e Nikita, mano nella mano, fissiamo il soffitto sdraiati sul letto.

Nella penombra notturna il passaggio di una macchina crea dei giochi di luce nell'angolo destro della stanza. Le tende della finestra spalancata, per lasciar entrare un po' d'aria, rimangono immobili. I nostri corpi seminudi e umidi incollati alle lenzuola.

Guardo il profilo di Nikita brillare nel buio.

Il blu ha imbrattato la stanza, ogni cosa gli appartiene. Il televisore rimasto acceso non trasmette più nulla. Il film è andato, finito, e noi siamo rimasti qui immobili oltre i titoli di coda, per un tempo infinito impossibile da immaginare. C'è soltanto il blu dello schermo, come un portale alieno aperto nell'iperspazio.

Il corpo di Nikita è immobile, esattamente come il mio, tanto da farmi domandare se siamo davvero ancora vivi.

Alzandomi,la sensazione del lenzuolo che si separa dal mio corpo è quasi dolorosa. Immagino i segni rossi lungo la mia schiena bianca. Li cerco percorrendoli con le dita.

Nikita si siede accanto a me. Quando poggia le spalle contro il muro freddo lo sento sospirare. Una strana smorfia gli si disegna sul volto,seguita da un sorriso. Resto a fissare il blu dello schermo, sperando mi assorba rendendomi un'altra. Il rumore dell'accendino e l'odore dell'hashish. Per un secondo mi domando di quale colore appaia la fiamma che Nikita tiene in mano, inondata dalla luce blu.

Non mi volto verso di lui, afferro la bottiglia d'acqua stesa accanto a me e a grandi sorsate bevo tutto quello che resta. Sento un rivolo freddo colarmi lungo il collo, nello spazio tra i seni e scomparire nell'ombelico.

Fuori da qui una distesa di lampioni dalla luce calda lascia sudare la notte.

«Andiamo di sopra.»

Nikita si alza aspettandomi appena al di là della porta, il parquet tiepido ci accompagna fino alla scala a chiocciola, i cui gradini metallici e freddi mi risvegliano da uno strano stato di torpore.

Di sopra, oltre la portafinestra, una piccola terrazza. Nikita si siede nella piscina gonfiabile e accende lo spinello che ha portato con sé.

«Non ci crederai, ma è ancora calda.»

«C'erano trentanove gradi questo pomeriggio.»

«Quanti ce ne saranno ora?»

«Non lo so, una trentina forse.»

Guardo Nikita negli occhi come a volerlo interrogare, cercando all'interno di quelle iridi chiare una risposta qualsiasi. Senza parlare. I suoi occhi, come quelli dei gatti, rimangono a fissarmi restituendomi i miei punti di domanda, tacendo ogni risposta.

Gli tolgo lo spinello dalla bocca, aspiro forte e risputo fuori il fumo, inclinando la testa verso l'alto coprendo le stelle con il mio fiato, partorendo nuvole dalla mia bocca.

Il corpo di Nikita nell'acqua sembra ricoperto d'argento, freddo e metallico come una falce di luna. I suoi capelli, la pelle, i suoi occhi appaiono del medesimo colore. Su questa terrazza, più in alto dei lampioni gialli, possiamo illuderci di essere soli al mondo.

Aspiro avida dal filtro, decoro l'aria con il mio fiato.

«Che stai facendo?»

«Partorisco le nuvole.»

Nikita scuote la testa e ride.

«Fai provare anche me.»

«Vuoi soltanto rubarmelo.»

«No, voglio riprendermelo.»

Parliamo senza guardarci, continuo a fissare le stelle, il fumo che mi esce di bocca, i pensieri che volano in alto.

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora