Mia madre

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Nikita sta guidando verso casa, io accanto a lui sto sciogliendo dell'hashish. L'odore in un attimo riempie tutta la macchina. Credo sia uno dei profumi che preferisco. Respiro profondamente, come se stessi per immergermi in mare.

Per tutto il tragitto guardo fuori dal finestrino aperto, buttando il fumo fuori. La strada che percorriamo abitualmente passa proprio davanti casa di mia madre, ogni volta per quasi tutto il percorso tengo la testa voltata verso l'esterno, in modo che Nikita non si accorga di quando mi volto. Poi nel brevissimo istante in cui incrocio la sua finestra, cerco di frugare all'interno.

La cerco da quella fessura di luce aperta nel cemento.

Una volta mi è sembrato di vederla, ma non sono certa che fosse lei. Alcune volte ho l'impressione che Nikita acceleri proprio quando siamo lì davanti. Lo svincolo per casa sua è a qualche centinaio di metri da dove siamo ora, quando Nikita gira dalla parte opposta, resto per qualche minuto ancora affacciata fuori, quando lo spinello è quasi arrivato al filtro lo spengo chiudendolo nel posacenere. Poi senza dire una parola, guardo davanti a me. Resto così per tutto il tempo finché non arriviamo a casa.

«Ti va di bere?»

Mi chiede girando la chiave nella serratura. Quando si volta verso di me annuisco.

Credo sia l'unico russo a non bere vodka.

Piazza al centro del tavolino una bottiglia di whiskey ed una ciotolina con del ghiaccio, ci sediamo per terra, prendo dal mobile alle mie spalle due bicchieri e li riempio per metà, lascio cadere un paio di cubetti di ghiaccio in entrambi i bicchieri. Adoro sentire il rumore che fanno quando a contatto con il whiskey si riempiono di crepe ed è come l'inizio di un'esplosione che non si compie.

Nikita ha acceso i condizionatori appena varcata la soglia, la temperatura è passata da torrida a primaverile in pochi minuti.

Dopo un paio di bicchieri il mio pensiero torna a mia madre.

«Ti sembro il tipo di persona che sopravvivrebbe lasciata da sola in un bosco?»

«Che intendi?»

«Quando ero piccola, uno o due anni dopo che ci siamo incontrati, mia madre di punto in bianco mi disse questa cosa: che ero il tipo di persona che sopravvivrebbe se lasciata da sola in un bosco o su un'isola. Disse che io e lei eravamo simili, che avevamo lo stesso gene e per questo non era affatto preoccupata che potesse accadermi alcunché.»

«Tu non le somigli affatto, ma forse si potresti essere quel tipo di persona, in fondo sei sopravvissuta a lei.»

Ancora non mi era capitato di pensare a mia madre come ad un evento a cui sopravvivere. L'ho pensata in una miriade di vesti, ma mai come uno tsunami o un terremoto, un'epidemia o una sparatoria. Eppure quell'esempio calzava alla perfezione. Ed ora che Nikita l'aveva detto mi sentivo davvero come una sopravvissuta. Come uno di quei corpi distesi tra le macerie appena in grado di respirare, avvolti nell'oscurità e nella polvere, ma ancora vivi.

Mio padre non era stato altrettanto forte, né fortunato.

Passano alcuni istanti di silenzio, poi aggiunge:

«Tua madre è davvero una stronza.»

«Sono pienamente d'accordo.»

Mentre parliamo ricevo la notifica di un'email sul cellulare.

La leggo velocemente.

«Un altro preventivo andato a vuoto. Ti rendi conto? A quanto dovrei vendere le mie illustrazioni per lavorare?»

«Che lavoro era?»

«Si trattava di disegnare una serie di copertine per una collana editoriale. Sarebbe stato un lavoro bellissimo se non le avessero volute praticamente gratis.»

Mimesi (Bianco caldo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora