Capitolo 3

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-Sofia

-Buon pomeriggio signore, benvenuto- inizio con un sorriso da dietro il bancone.
L'uomo sulla cinquantina che è appena entrato sorride a sua volta, facendo un cenno col capo, avvicinandosi a quella che noi chiamiamo, non propriamente, reception.
-sono di passaggio per lavoro e dovrò fermarmi per circa un paio di settimane- borbotta cercando distrattamente qualcosa nelle tasche -so che probabilmente avrei dovuto prenotare, ma la mia partenza non è stata delle più programmate... diciamo-
Una risatina nervosa interrompe il suo parlare.
-mi sono trovato molto bene l'ultima volta che sono stato qui, e mi chiedevo se per caso non aveste una stanza libera per me-
-oh, certo! Di solito è vero, richiediamo una prenotazione, ma in questi mesi non passa mai molta gente come in estate, quindi non c'è problema- dico cercando il modulo da compilare sotto al bancone.
-per la richiesta dovrebbe gentilmente compilare questo foglio- continuo passandogli anche una penna -e avrei bisogno di un documento per poter fare una copia da tenere qui mentre soggiornerà da noi-
L'uomo, che nel frattempo si è tolto il cappotto e sta guardando il modulo che gli ho dato, si accuccia per qualche secondo, cercando nella valigia, scomparendo per poco alla mia vista.
Mi porge la carta d'identità e poi si siede in un angolo, su una delle poltrone, per compilare il modulo.
Poco più tardi, quando ho finito di elencargli il regolamento e di dargli qualche informazione essenziale, prendo una delle chiavi appese alla parete dietro di me e gliela porgo.
-stanza numero otto- affermo -spero sia di suo gradimento, e se dovesse avere qualsiasi richiesta non esiti a domandare!-
In quell'istante la campanella appesa sopra la porta d'ingresso tintinna, e la signora Angeli entra nella hall, in orario per riprendere le redini della situazione al posto mio.
-buonasera giovanotto!- esclama con le guance rosse dal freddo.
A quello scappa una risata sincera -oh beh, proprio giovanotto non direi- poi le porge una mano, che lei stringe gentilmente.
-lei è la signora Angeli, la proprietaria- intervengo io -quando non ci sarò io al bancone, troverà lei o un altro ragazzo, Giovanni, che saprà esserle d'aiuto se avrà bisogno-
-la ringrazio- mi sorride.

Dopo che il nuovo ospite si è finalmente congedato, sono libera di concludere il turno.
Un'altra giornata è quasi andata.

Tornando a casa, mi fermo in una piccola bottega che ho scoperto un anno fa, e in cui vado sempre a comprare quello che mi serve. Ho intenzione di preparare da me quei famosi biscotti che in casa mancano, visto che ho paio di ore libere.

Una volta a casa, faccio una doccia, mi cambio, indosso il grembiule che uso per cucinare e mi metto all'opera.
-dunque... zucchero, farina, burro...dannazione, le uova!- quasi mi dò uno schiaffo da sola, prima di guardare l'orologio appeso al muro della cucina, sopra la porta.
sono già le sei e mezzo.
Magari se mi sbrigo riesco ad andare prima che chiuda... Lascio tutto così com'è, mi sfilo al volo il grembiule e prese le chiavi e il cappotto esco di casa.
Siamo verso la fine di novembre, e il freddo si fa decisamente sentire. Qui a Verona non nevica quasi mai, da quello che so, e lo scorso inverno non è stato da meno. Guardo sul cellulare quanti gradi sono segnati qui in centro. Siamo già sotto lo zero, qui si congela e basta, ma niente neve, come dicevo.
Arrivo di fronte alla bottega.
Chiusa.
-oh, ma sul serio...?- sbuffo sonoramente, una nuvoletta di vapore si propaga dalle mie labbra, appannano lievemente la vetrina davanti a me.
Mi guardo intorno, ma non c'è nessuno in giro con questo freddo, adesso che è già buio da ore.
Forse potrei trovare una ricetta per biscotti senza uova.
Ma ormai è abbastanza tardi, i biscotti dovranno aspettare.

Afferro le cuffiette dalla tasca, così almeno finché tornerò a casa non sarò da sola.
Parte una playlist casuale, una, due, tre canzoni prima che arrivi a casa.
La quarta canzone parte poco prima che imbocchi le scale del vecchio palazzo.
Voce del verbo, Ermal Meta.
Piccoli brividi mi attraversano la schiena.
È il freddo?
Non voglio entrare subito in casa, non voglio rovinare questa atmosfera così surreale, le scale desolate, il freddo che fa battere i denti, il vento che spinge sulle piccole finestre, una voce così bella, una canzone così perfetta.
Mi siedo sull'ultimo gradino davanti la mia porta, chiudendo gli occhi, assaporando quelle ultime manciate di secondi di musica.
Poi la canzone finisce, ed io rientro in casa.

Sul mio letto mi attende un bel pigiama caldo, con i calzettoni spessi che metto sempre d'inverno, al posto delle pantofole. Sulla mia scrivania una pila di libri alquanto instabile si appoggia ad un impianto stereo con due grosse casse.
Lo accendo, mettendomi ad ascoltare la radio seduta in mezzo al letto, con il gatto sulle gambe incrociate.
Una canzone che gira in radio da un po', il notiziario dell'ultima ora, poi una canzone vecchia, di quelle che mettono nostalgia a chi le ha sentite la prima volta trent'anni fa, il tipo della radio che parla, fa un annuncio.
Domani verrà lanciata in radio per la prima volta una nuova canzone di Meta, e lui per l'occasione verrà accolto nello studio per parlarne un po'. Raccomanda quindi di non perderai la diretta delle cinque.
La mia mente viaggia spedita e in poco concludo che si, domani alle cinque sono libera, ho il turno di mattina, visto che sono

la più giovane al lavoro e la signora cerca di tenermi la domenica libera, in qualche modo. È dannatamente gentile.
Passerò quindi quel tempo qui, chiusa in camera mia, a godermi la sua nuova canzone e l'intervista che ne seguirà, come una perfetta adolescente che ormai non sono più.
All'incirca.

Decido di mettere su il suo ultimo disco, provando a immaginare come possa essere questa sua nuova canzone.
Poi mentre il lettore metabolizza quello che deve fare, cioè far partire il cd, prendo il cellulare e sfilo quella foto da dietro la cover.
Meraviglia delle meraviglie.
E pensare che ti ho anche parlato.
E abbracciato, si, anche quello.
Forse riuscirò ad accaparrarmi un biglietto per qualche tuo concerto, se non andrai troppo lontano.
Sorrido ancora, riguardando quella foto. Sono stata fortunata quel giorno, decisamente.
Anche se non sembra, non molte persone hanno l'occasione di incontrare dal vivo uno dei propri artisti preferiti, in un momento che non assomigli ad una ressa per una foto o un autografo.
Prendo un piccolo quaderno dal cassetto, nuovo, completamente bianco, sia dentro che fuori, e nella prima pagina, con la data e una piccola frase per ricordare quel momento, poso la mia foto.
"Quanto è stato bello non dovertelo neanche chiedere."
Sorrido, pochi momenti di adrenalina per un incontro.

-grazie Ermal- sussurro piano.

E note dolci mi accompagnano, addormentata, sulla poltrona accanto al letto.

Romeo e Giulietta non sono mai esistiti.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora